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10.15 Saturday Night dicevano i Cure: alla stessa ora del venerdì 29 aprile i Verdena salgono sul palco dell’Atlantico di Roma, un palco invaso da una mini-folla con tanto di coroncine “groovy” in testa nell’attesa dei suoi bergamaschi preferiti. Entrano con quella discrezione preziosamente singolare dopo la breve performance dei Sadside Project, fresco duo indie-garage, valido ed estroverso supporter nonché esempio lampante di quella giovine e sotterranea italianità musicale sconosciuta ai più.
Concedono un “grazie”, prendono le postazioni e si concentrano su quel fine tanto caro dell’esibizione live, del resto seconda nella capitale romana. Alberto si immerge nei tasti del synth, improvvisa qualche nota mesta per poi infervorare l’atmosfera con Scegli me non a caso primo brano del Wow: indizio questo di uno show tutto all’insegna delle creazioni nuove? Decisamente sì. E’ il turno di Per sbaglio che di certo non per sbaglio ti tormenta per l’orecchiabilità del suo motivo elettrico coerente col magma psichedelicamente synth in quella dimensione amplificata ad optimum dal vivo. Amplificato anche l’audio pessimo e la distanza interstiziosa della band dal parterre pacato, disamorato, quasi flemmatico. La situazione migliora con Rossella Roll Over ma decide di svoltare con Nova, ormai decennale ma straziantemente senza età. I cambi ritmici di registro riavvicinano tutti noi ma anzitutto accorciano le distanze tra il cantore e la triste Roberta, quasi una “scared princess” in secondo piano azzarderei opinare, e li carica in un vortice allucinogeno di dinamica improvvisazione connubiale. Requiem echeggia col trio Caos strisciante, Canos e Muori Delay e il pubblico fa finalmente sentire la propria di voce con una sincronia a dir poco esorbitante. Di sincronia parlando non si può mica oscurare l’audace batteria di Luca, sempre grintosa, incisiva, risoluta.
Prima di regalarsi il break delle 23.35 come non concedere Razzi Arpia Inferno e Fiamme, più lieve, vaporoso, meno acustico, liricamente delicato. Tuttavia il vero diletto arriverà con la memorabile Valvonauta: i Nirvana italiani si risvegliano col loro grunge addolescenzial-furibondo, ed anch’io, nostalgica dei tempi che furono, scatto in piedi dagli scalini laterali per immergermi nell’ardore impetosamente assoluto. Loniterp fa da transito al vero animo rock’n’roll sprigionato da Isacco Nucleare: ad un minuto dalla fine Ferrari divora il microfono ingoiandone la metà, urla “Nubi d’Isacco” e in preda al delirio getta via l’elettrica e si tuffa tra la folla. Li vogliamo così ma escono...
Il ritorno ci appaga con Mother lennoniana e il suo piano infausto si addice così minuziosamente all’inclinazione melodicamente tenue degli ultimi Verdena. L’apice onnicomprensivo si raggiunge con Luna, singolare, portentosa, eclettica. La chiusura con Lei disse viene preannunciata e sfocia in una rassegnazione spoglia di attesa speranzosa del secondo bis. Ma con quel “Amami” finale si fanno perdonare: perché i Verdena son siffatti, distrattamente illustri, creativamente melodrammatici, naturalmente distanti, impareggiabilmente altalenanti, e va bene così...
Articolo del
04/05/2011 -
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