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The Dodos
The Dodos + Wildbirds & Peacedrums live @ Circolo degli Artisti – Roma, 4 maggio 2011
Roma
4/05/2011
di
Maria Francesca Palermo
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Cambiano le stagioni, mutano le attese e probabilmente anche il sound, ma il clima della serata procede a braccetto con il bilinguismo delle percussioni finniche e californiane. A prendere parte al rito propizio stavolta oltre ai capofila della serata capitolina, ci sono anche Wildbirds & Peacedrums, con appresso l’intero entourage scandinavo e tanti assi da spendere dentro minutaggi a dir poco epici.
Il capovolgimento della serata è così presto garantito, altro che gruppo di sintesi d’apertura perché l’attesa del pubblico è tutta per loro. I risultati di questo gran vociferare sono i coniugi Mariam Wallentin e Andreas Werliin, l’ultimo Rivers e due album precedentemente pubblicati per la Leaf Records. Nessuna impronta sulla neve fresca, cinquanta minuti di suono intatto, sperimentalismo jazzy e immagini funambolesche che tirano l’aria a xilofoni e pelli foderate di ghiaccio. Cresciuti sotto la corteccia di un bosco dalla tessitura fine, nell’accademia di musica di Goteborg, il duo scava le finezze del suono ammaestrando ritmi lontani, a tratti tribali quanto il delay della kalimba, in altri poco meno longevi dell’aggiunta di una tastiera e un synth. Così le cose si complicano. Tutti strumenti parecchio cervellotici che colpiscono uscendo dalle tasche come saggi interludi vocali e sospensioni armoniche di licenza autonoma. Ci sanno fare e spingono il ritmo mantenendolo fresco di rugiada. Abbracciano l’ideale melodico della terra incontaminata e mischiata alle atmosfere dei toni memoriali. La formula è a dire poco corretta, la voce di Miriam grandiosa e la creatività liberata al tamburo d’acciaio dello steel pan. Che dire dei Dodos? Sembrerebbe rimanere poco dell’esordio vorticoso di un tempo. O meglio, l’attitudine fisica e il drumming forsennato e nefasto hanno ancora un proprio ruolo nell’approccio esecutivo della band, ma stavolta a presentare il conto della ‘minima parte’ è evidentemente No Color. Certi episodi come Black Night, Don’t Try And Hide It e Going Under suonano buoni per tutti i gusti, pur essendo tra i pezzi migliori di un album che i Dodos preferiscono eseguire ripetendolo per intero come sotto effetto di sedativi. Ottima band dall’ispirazione nobile nel picchiare tamburi e fracassare timpani, ma sul palco paiono proprio essersi dati una ‘calmata’ melodica e direzionale che potrebbe nuocere quei presenti in sala abituati allo stravolgimento di picco e accelerazione. Rispolverano la memoria solo con Longform, Fables e Piant The Rust, e tutto il resto, poi, possiamo riprendercelo altrove.
Un live un po’ secchetto quello di Meric Long e Logan Kroeber, ridotto davvero al minimo indispensabile. Poche le battute al microfono, a mancare sono i pezzacci, i ritmi sincopati e il sudore tamponato del batterista. Il senso della serata è l’inversione delle aspettative perché se i Wildbirds & Peacedrums dimostrano di essere molto stravaganti e mutevoli più nel live che su disco, i Dodos al momento è preferibile ascoltarli al cantuccio di casa.
Articolo del
07/05/2011 -
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