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Nella sua Inghilterra il 54enne Billy Bragg è spesso visto come una reliquia degli anni Ottanta, un artista i cui giorni migliori sono legati indissolubilmente al periodo di Margaret Thatcher, dello sciopero dei minatori e del celebre tour Red Wedge. Una sorta di Ken Loach della canzone, insomma, che proprio come l’anziano regista, con l’arrivo sulla scena dei vari John Major, Tony Blair e David Cameron si è trovato ad essere una sorta di ribelle alla costante ricerca di una “causa”. Senza, di fatto, più riuscire a trovarla. Negli ultimi vent’anni il nasuto “bardo di Barking” ha continuato a incidere dischi (i migliori dei quali sono, e non è un caso, le due collaborazioni con i Wilco della serie Mermaid Avenue basati sui testi e sulla figura di Woody Guthrie) con rendimenti decrescenti, ma la cosa migliore Bragg l’ha realizzata nel campo della letteratura: il suo saggio (parzialmente) autobiografico The Progressive Patriot (2006) è ben scritto, illuminante e appassionato, e preso nel complesso risulta scevro dal pedante tono pedagogico di cui risente la più recente produzione musicale. Il libro è anche servito come ispirazione per uno spettacolo teatrale dal titolo Pressure Drop, contenente canzoni vecchie e nuove di Bragg, alcune delle quali hanno trovato spazio sul recente E.P. dal medesimo titolo, che è poi il progetto da cui ha preso piede questo nuovo tour del cantautore.
Mancava da Roma da quasi 10 anni, Bragg, davvero tanti per i suoi standard (ai tempi infatti veniva alquanto spesso). L’ultima volta, a Villa Ada, si era presentato con una full band, The Blokes, comprendente alle tastiere anche il leggendario (Small) Face Ian McLagan. Stavolta invece è da solo con la sua chitarra fascist-killer, null’affatto imbolsito e anzi, dotato della consueta buona verve. Si parte con tre brani delle origini, The World Turned Upside Down, To Have And To Have Not e A Lover Sings, tutti rigorosamente del periodo 83-84, con un Bragg apparentemente poco loquace. Ma è solamente, appunto, un impressione, perché a partire da qui il cantautore inizia a interagire con il pubblico, che mette alla guardia dal cinismo imperante, e racconta le sue recenti, ultime battaglie con le camicie nere del BNP (British National Party) dopo che questo aveva strappato ben 12 seggi alle elezioni nella sua amata Barking. Arriva la nuovissima Tomorrow's Going To Be A Better Day (così così) tratta da Pressure Drop, poi Bragg ci riconquista tutti per l’ennesima volta con Greetings To The New Brunette, tratta da Talking With The Taxman About Poetry (1986), uno dei suoi brani (e album) più belli. Il discorso si sposta su uno dei suoi due idoli (l’altro è Joe Strummer) nonché ispiratore, il folksinger Woody Guthrie, a cui viene dedicato un intermezzo acustico di tre brani: uno (I Ain't Got No Home In This World Anymore) è di Guthrie stesso, gli altri due (Ingrid Bergman e Way Over Yonder In The Minor Key) apparsi sul primo episodio del progetto guthriano con i Wilco Mermaid Avenue del 1998. A questo punto Bragg parla molto, affabula, motteggia con il pubblico, smorza una incipiente rissa in platea, a tratti predica anche. Lo salva, dal pericolosissimo “effetto Bono”, il suo senso dell’umorismo tipicamente britannico, che gli fa scovare la battuta dissacrante anche nella più seriosa delle dissertazioni. Attinge a piene mani dalla sua discografia, il “patriota progressista”: da England, Half English (2002) propone NPWA, da Mr. Love & Justice (2008) ripesca I Keep Faith, e ancora da Pressure Drop arrivano There Will Be A Reckoning e Battle Of Barking, tutte non troppo ispirate però. Va molto meglio con i classici del repertorio anni Ottanta, tutti accolti con delle vere ovazioni: The Milkman Of Human Kindness, Levi Stubbs Tears, The Saturday Boy, There Is Power In A Union e, sul bis, la monumentale A New England, il pezzo che nell’ormai sideralmente lontano 1983 lanciò Billy Bragg facendolo diventare un beniamino del pop Made in UK. La esegue, come ormai consueto, con la strofa aggiuntiva scritta per la povera Kirsty McColl, che portò il brano ai vertici delle charts UK nel dicembre ’84. Fa un po’ buffo sentire l’imbiancato Bragg che canta “I was 21 years when I wrote this song, I’m 22 now but I won’t be for long”, ma funziona ancora benissimo il brillante, inatteso capovolgimento di prospettiva in coincidenza del chorus, quando Bragg confida che lui in fondo – nonostante le varie prolusioni sulla malvagità dei banchieri e sul ruolo storico dei sindacati - “non vuole cambiare il mondo, non sta cercando una nuova Inghilterra”, ma cerca “semplicemente una nuova ragazza”. E sì, perché come già detto, a Bragg è lo humour che lo salva; in caso contrario non sarebbe riuscito a resistere sulle scene per quasi trent’anni e sarebbe magari finito come il suo più serioso predecessore Phil Ochs.
Non al livello del concerto del 2001 con i Blokes, più energetico e spettacolare (e lì c'era stata anche una irresistibile cover dei Clash), ma comunque un utile reminder di quanto bel pop “intelligente” l’Inghilterra sia riuscita a esprimere nei tanto vituperati anni Ottanta. Il decennio – è vero – dei Simple Minds e degli U2, ma anche dei Cure e degli Smiths. E di Billy Bragg. SETLIST:
The World Turned Upside Down To Have and To Have Not A Lover Sings Tomorrow's Going To Be A Better Day Greetings to the New Brunette I Ain't Got No Home in This World Anymore (Woody Guthrie cover) Ingrid Bergman Way Over Yonder in the Minor Key NPWA Sexuality Everywhere Battle Of Barking The Saturday Boy There Will Be A Reckoning The Milkman of Human Kindness Levi Stubbs' Tears I Keep Faith There is Power in a Union
Encore: Last Flight to Abu Dhabi Tank Park Salute A New England
Articolo del
17/05/2011 -
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