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Dopo l’uscita del nuovo Gloss Drop era doveroso andare a testare dal vivo i Battles, supergruppo per cui sono stati spesi fiumi di parole su cartaceo e di bit online. La band che due anni fa aveva aperto per i Gossip, finiti in un buco nero di creatività dopo l’ultimo album, patisce la perdita di Braxton non reggendo cosi il confronto con il passato. La nuova formazione, che dal punto di vista tecnico appare sfavillante, perde l’effetto freschezza, prosciugato dagli insistenti incastri matematici. Nonostante i nostri siano una perfetta macchina macina-riff, e Stainer un batterista poderoso e snello, il trio manca d’anima toppando clamorosamente un upgrade necessario per la loro evoluzione. Il suono è muscolare, l’effetto dal vivo devastante, ma la fantasia rimane intrappolata da questi continui cambi che, ahimè, invece di meravigliare appaiono più che prevedibili. Devo confessare, a malincuore, che i Battles di stasera suonano esercizi di stile, irraggiungibili per molti sia chiaro, ma pur sempre esercizi. L’ultimo album tradiva questa sensazione che dal vivo diventa una certezza insindacabile. Il pubblico di Villa Ada invece sembra non cogliere questo aspetto fondamentale e accoglie la band con urla e applausi convinti. Buona la scelta di proiettare i video della parti cantate, in cui spunta la donzella dei Blonde Redhead, ma questo non basta a promuoverli, almeno non dal punto di vista dell’evoluzione.
Durante un cambio di palco comodo innaffio lo stomaco con un paio di Super Tennents nell’attesa che i Caribou guadagnino il palco. Set elettronico, affiancato da una batteria acustica, e si parte sulle loro onde a bassa frequenza. In mezzo ai presenti si scatena il pandemonio, ogni bit fa sudare e saltare i corpi che nel frattempo sono raddoppiati. Più la cosa va avanti più mi rendo conto che anche i Caribou nulla tolgono o aggiungono alla musica che, dalla terza traccia in poi, inizia ad annoiare me e molti di quelli che mi stanno intorno. Effetti elettronici prevedibili, pattern ritmici lineari e una specie di progressione psichedelica, (leggi: ripetitiva) mandano avanti uno show fatto di luci (poche) e ombre (moltissime, compresa quella dell’acustica) che stanca. A pochi minuti dalla fine mi allontano pensando che risulta quasi più interessante osservare la superficie, immobile e riflettente, del lago che arrivare in fondo allo show, terminato pochi minuti dopo che ho gettato la spugna.
Un giudizio del tutto personale che, quasi sicuramente, andrà a scontrarsi con tutta quella massa ondeggiante di corpi danzanti che hanno dato ragione alla band.
Articolo del
26/06/2011 -
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