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Da dove cominciare per raccontare cosa è successo ieri sera al Filaforum di Assago? Evitare di farlo sarebbe la cosa migliore, ma visto che devo forse potrei iniziare a dirvi che a distanza di trent’anni dal concepimento di The Wall, e a ventuno dalla caduta del muro di Berlino, Roger Waters ha deciso di mettere in scena questa mastodontica opera rock che, a mio modesto avviso, ancora oggi non teme rivali.
Sui Pink Floyd sono stati scritti fiumi di parole, altrettante ellissi, iperboli e critiche sono state spese per questo disco, vetrina in cui veniva esposto tutto l’egocentrismo di Roger Waters. Il leader della band compose testi, e gran parte della musiche, con il solo aiuto di Bob Ezrin, riducendo gli altri membri a dei turnisti, inasprendo le tensioni che non si sarebbero mai più sanate. L’opera, in parte autobiografica, narra la storia del fantomatico Pink: un adolescente con turbe psichiche, orfano di guerra che con gli anni diventa una rockstar devastata, ridotta a una larva, spolpata sistematicamente dal manager, oppresso dalla madre iper-protettiva ed emotivamente distrutto dalla ragazza. Con il passare del tempo, e inesorabilemente, ognuno di questi problemi diventa un mattone con cui Pink (Waters) costruisce un muro che lo isola, e protegge, dal mondo esterno.
Durante gli anni successivi alla sua creazione alcuni protagonisti della “famiglia” Floyd sono morti, lasciando un profondo vuoto incolmabile. Il primo ad andarsene era stato Syd Barrett, ormai completamente travolto da una follia indotta da sostanze stupefacenti. L’altro è Richard Wright, poco più di due anni fa, morto quasi in sordina, con il suo carattere schivo, abituato a non disturbare neanche nell’atto estremo della morte. Nel frattempo Waters ha sempre portato avanti la sua battaglia musicale e politica, le sue idee musicali (ma non solo) sono state oggetto di discussione fra i membri della band e fra i critici.
Oggi questo anziano signore, dalla forma smagliante, si presenta con una versione aggiornata di quella che fu la sua personale seduta di psico-analisi, grazie alla quale uccise, forse definitivamente i suoi incubi, oggi ritornati sotto forma di psicosi dall’ampio spettro sociale. The Wall non è solo un’opera rock partorita dalla mente malata di Roger ma è lo specchio di una società costruita sulle paure, sul denaro, sugli affetti soffocanti. Lo spettacolo di stasera dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, l’attualità di alcuni temi trattati: l’incubo della guerra, il nazismo e l’omofobia, vengono proiettati su questo muro, costruito dentro il Filaforum, che fa da schermo interattivo e cangiante. L’inizio dello show è previsto per le ore 21.00, infatti alle 20.59 si spengono le luci, Waters viene accolto dal ruggito del pubblico che, impaziente, stava rumoreggiando già da un’ora. Roger, attraverso la voce dello speaker, ci chiede di fare foto senza flash, per non rovinare lo spettacolo che ci ha preparato, l’uso dei laser è proibito perche invaliderebbe alcuni effetti. La capacità di sincronizzare audio e video è, ancora oggi, qualcosa che lascia allibiti. Le sequenze appaiono perfette, gli ammodernamenti necessari, ma mai fuori luogo, apportati fanno parte di una scenografia scarna, quasi identica a quella del tour originale. Il perfetto equilibrio fra immagini e suono è la dimostrazione di una superiorità schiacciante. Waters è magnetico, la sua voce paranoica e acida risulta coinvolgente, concede poche parole al pubblico gettandosi a capofitto nel suo alter ego. Si parte sulle note esplosive di In The Flesh, tirata a lucido da una scenografia meravigliosa: fuochi d’artificio e un aereo tedesco che partendo dal fondo della sala si schianta sul muro sono solo alcune delle cose con cui almeno tre sensi, su cinque, vengono sollecitati. Da qui in poi è solo un crescendo di effetti e sensazioni da cardiopalmo: si va da One My Turn a Is There Anybody Out There, passando per la stupenda Nobody Home durante la quale Waters è seduto in una camera anni Trenta, con tanto di televisore funzionante. Le sensazioni che si susseguono sono davvero indescrivibili, con il passare dei minuti l’acustica, pressocchè perfetta, della sala aumenta il suo volume di fuoco trasformandosi in qualcosa di veramente sublime. Non può mancare il cavallo di battaglia Another Brick In The Wall con due assoli, il secondo affidato alle sapienti dita di Snowy White che ridicolizza quello di Dave Kilminster; il pupazzo gonfiabile dl professore dinoccolato e oppressivo e i bambini, stavolta veri, completano un brano che da solobasterebbe a reggere l’intero show. Poi è la volta della stupenda Mother in cui l’esibizione di Waters, all’Earls Court di ben trent’anni, fa viene sincronizzata con quella dello show per un momento di rara bellezza scenografica. Il picco emozionale, penso di parlare a nome di tutti senza paura di essere smentito, è l’esplosiva Comfortably Numb, devastante brano che si riappropria di tutta la sua angosciante bellezza espressa dalla stupenda, e inimitabile, voce del bassista. Il tanto agognato assolo finale è pura catarsi, un’esplosione di note liberatorie che paragonate a quelle di Gilmour, ancora oggi maestro indiscusso nell’esecuzione live del solo, non fanno rimpiangere l’originale, almeno in questa occasione. C’è ancora posto per una temibile Waiting For The Worms e Run Like Hell, intanto Roger si è cambiato assumendo le sembianze di un nazista, con tanto di megafono e fucile laser. Sullo schermo scorrono scritte, le luci cambiano d’intensità e i martelli si avvicinano, con andamento marziale, minacciosi sulla città. Siamo alle note conclusive: fra poco il giudice, interpretato magistralmente da Waters, leggerà la sentenza finale: il muro di Pink verrà abbattuto condannandolo a vivere fra i suoi simili. Poco dopo l’intera band è sul palco, Roger passa alla tromba ringraziando tutti per aver proiettato e condiviso, ognuno a modo suo, il proprio muro con il suo.
La perfezione non esiste, ma alcuni sanno come andarci molto vicino: sublime!
Articolo del
06/07/2011 -
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