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L’attesa era enorme, quasi parossistica, per verificare se I Cani avrebbero retto all’impatto della prova dal vivo dopo aver convinto quasi tutti con il loro sorprendente album d'esordio Il sorprendente album d’esordio de I Cani uscito appena un mese per la 42 Records ma già indicato da molti – sottoscritto incluso – come una sorta di nuovo “big bang” per la musica indie-italica. La folla accorsa, nel pregevole scenario del Parco della Casa del Jazz, è stata folta e più che mai disomogenea: pariolini di diciott’anni, hipsterici e hipsteriche, i nati nell’89 e pure nel 59, nerd e finti nerd, fuorisede che ci provano con le bariste, i falliti, i delusi, i depressi, i frustrati, gli emo riciclati, i gruppi hipster, indie, hardcore... In breve: tutta la fauna umana così acutamente tratteggiata nelle canzoni della (one-man) band capitolina.
Prima de I Cani è stata la volta dei A Classic Education, la band bolognese di Jonathan Clancy ex-Settlefish che ha presentato il nuovo EP Hey There Stranger e due cover piuttosto incongrue (Little Red Riding Hood da Sam The Sham & The Pharaohs, Crawfish da Elvis) in un set a metà tra lo shoegaze e lo scottish-pop anni Ottanta che si è trascinato troppa convinzione. Giudizio: se band come I Cani rappresentano il futuro dell’indie-pop italiano, A Classic Education sono l’altroieri dell’indie-rock, nel loro caso internazionale dato che è quella la loro mira. In bocca al lupo comunque: probabile che negli States o in UK vengano maggiormente apprezzati.
Al calare delle ombre della sera, finalmente arriva il turno de I Cani, ovvero – come è ormai noto a tutti dopo i mesi di fitto voluto mistero intorno alla loro identità – a Niccolò Contessa (già leader della electro-band Tavrvs) e quattro musicanti da lui ingaggiati all’uopo dopo il botto dell’album. La folla sotto al palco pare essersi quadruplicata quando I Cani fanno il loro arrivo sul proscenio, in stile alla Devo (e ci sarà mica in questa scelta lo zampino di Federico Guglielmi del Mucchio, tra i loro principali consigliori?) tutti e cinque con dei sacchetti del pane calati in volto a nasconderne le fattezze – a voler prolungare il... Mistero! Parte Theme From The Cameretta, il loro inno/sigla d’apertura, non dissimile nello spirito dal Corporate Anthem con il quale i Devo solevano aprire i loro concerti qualche decennio fa. I sacchetti per il pane (purtroppo) alla fine del pezzo vengono gettati in terra, rivelando le fattezze dei cinque: Niccolò (tastiere) sulla destra del palco con occhiali da nerd e la t-shirt di Goo dei Sonic Youth, altre due tastiere sorvegliate da due pischelli più Roma Nord che Parioli, un chitarrista nerdico anch’egli e sul fondo un solido batterista metronomo. A dispetto dei miscredenti funzionano ottimamente anche dal vivo I Cani, pur se Niccolò, visibilmente emozionato per questa “prima” romana (“seconda” in assoluto) parla poco e si limita a ringraziare. E comunque, a esprimere sensazioni ed emozioni ci pensano le liriche delle canzoni, che tutti (!) nel pubblico recitano a memoria. Le coppie è semplicemente perfetta, tale e quale al disco, con in più il contorno di centinaia di voci che indugiano sul coro “non li fermano quasi mai non li fermano quasi mai”, praticamente una liberazione dopo anni (che dico? decenni!) di indie-band nazionali che non hanno (quasi) mai nulla di vero, di sensato, di sincero, da comunicare nei loro testi (Offlaga Disco Pax esclusi. Forse). Formidabili anche I pariolini di diciott’anni, Wes Anderson e Door Selection mentre appare erronea la scelta di eseguire Il pranzo di Santo Stefano, il pezzo probabilmente più debole (l’unico) del disco. Ma I Cani si riprendono immediatamente, con l’uno-due implacabile di Hipsteria e Velleità (“gli artisti in circolo alla Casa del Jazz”) con la quale concludono il breve set. Niente Perdona e dimentica e Post punk? Peccato, ma il tempo evidentemente era quel che era.
Dopodiché on-stage è il turno dei palermitani Il Pan del Diavolo, bravi ma “antichi”, in fondo, se paragonati a I Cani. Che – va detto – con il loro elettropunk non hanno certo reinventato la ruota, e a livello di testi devono più di qualcosa a signori in giro da parecchio tempo che rispondono ai nomi di Morrissey e di Belle And Sebastian. Ma per l’Italia il discorso è diverso. Qui c’è davvero bisogno di una sorta di “anno zero”, di un rinnovamento della scena di cui, in questo momento, I Cani rappresentano una delle poche eccezioni nel mezzo di una stagnante uniformità e mancanza di fantasia. O anzi, forse l'unica. Per ora.
Articolo del
07/07/2011 -
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