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Più che un concerto, la dimostrazione pratica che l’onda lunga della Beatlemania (e, in termini più generali, della rivoluzione pop degli anni Sessanta) è lungi dall'esaurirsi, quasi cinquant'anni dopo il fatto. C’erano tantissime persone infatti ad accogliere Richard Starkey, noto ai più come Ringo Starr, in questa seconda e ultima data italiana: più di quante se ne prevedessero, visti i biglietti a 130 euro, e più entusiaste di quanto fosse lecito attendersi. Eppure in definitiva era atteso alla rassegna Luglio suona bene colui che di una certa band seminale era solamente il batterista. Affidabile, simpatico e nulla più, e peraltro uno che in seguito ha dimostrato di possedere chiari limiti sul piano della creazione musicale, non certo un Phil Collins o un David Grohl insomma. E sì: perché neanche il fan più ottuso e fedele alla linea potrebbe contestare che una volta staccatosi dalla band-madre (nonché madre di tutte le band) - ovvero dal 1970, cioè non proprio l’altroieri - il buon Ringo ha prodotto, di decente, nulla o quasi. La sua trovata migliore forse è stata proprio quella che porta in scena stasera, come da alcuni lustri a questa parte: decidere di contornarsi di una “all star band” composta da grossi-personaggi-della-sua-epoca-e-non-solo in grado di supplire con il proprio personale repertorio e con le loro qualità tecniche alle carenze a cui uno show “solo” dell’anziano batterista andrebbe inevitabilmente incontro.
Largo quindi, pochi minuti dopo le 21, alla All Starr Band in una versione 2011 tutta a stelle e strisce, composta da: l’albino monumentale polistrumentista Edgar Winter, fratello di Johnny (passato di recente da queste parti) nonché titolare di un’eccellente carriera in proprio negli anni Settanta; il venerabile Rick Derringer, chitarrista texano di bravura eccelsa; il tastierista/sessionman/ex Spooky Tooth Gary Wright; il bassista/cantante dei Mr. Mister Richard Page; il chitarrista ex-Romantics Wally Palmar; e, infine, il batterista Gregg Bissonette. Gente tosta, insomma. Sessionmen svezzati da migliaia di sedute in sala d’incisione e da centinaia di concerti in giro per ogni angolo del mondo. Ringo sale sul palco per ultimo correndo, e inizia a cantare – alla sua maniera – It Don’t Come Easy, uno dei suoi primissimi singoli solisti e anche (grazie allo zampino del socio Harrison) uno dei migliori. Di lui, che dire? E’ snello e scattante e i 71 anni non li dimostra affatto, a riprova che non timbrare il cartellino non fa certo male alla salute; a differenza di McCartney che un mini-crollo fisico negli ultimi tempi ce l’ha avuto, Ringo resta uguale (identico) all’immagine che tutti noi abbiamo di lui: quantomeno dalla fine degli anni Settanta, quando già aveva iniziato a portare i capelli corti e un vistoso orecchino al lobo sinistro. Gli anelli alle mani, quelli invece, come noto, ci sono sempre stati. Da qui il nome Ring-o; ma questo lo sapevate, no? E’ un piacere vedere Ringo che motteggia e scherza con il pubblico: era lui, d’altronde, il “Beatle simpatico”. Ma soprattutto fa una certa impressione sentirlo mentre parla col suo spiccato accento di Liverpool: lo stesso – ovviamente – di A Hard Day’s Night e di dozzine di conferenze stampa d’epoca in cui era sempre Ringo, assistito da Lennon, a tirar fuori le battute più indovinate.
Un primo brivido passa per la schiena all’arrivo di Honey Don’t, la cover di Carl Perkins che riporta al 1964, ossia all’epoca di Beatles For Sale. Poi, però, è la volta di Choose Love, un recente brano alla Joe Cocker senza troppe pretese datato 2005, e la serata inizia a prendere un tono un po’ alla “Las Vegas” con Ringo che si accomoda nelle retrovie a far compagnia a Bissonette (e a riposarsi da cotanto sforzo), passando la palla e le luci dei riflettori alla All Starr Band. Poco male, almeno all’inizio: Rick Derringer ricorda come la sua prima band, ispirata indovinate-da-chi, fossero i McCoys, autori dell’evergreen Hang On Sloopy, che viene prontamente riproposta riportandoci nuovamente nei mitici Sixties. Meno riuscita, per via dei troppi sbrodolamenti virtuosistici, Free Ride, vecchia hit dell’Edgar Winter Group, con la quale facciamo un salto in avanti di quasi dieci anni. Si passa quindi agli anni Ottanta dei Romantics di Wally Palmar per una bella versione di Talking In My Sleep, indimenticato hit da FM di quel decennio. Poi, altro sussulto non da poco: I Wanna Be Your Man con Ringo dietro la batteria che sembra voler scuotere la zazzera che non c’è più, come in tanti vecchi filmati in bianco e nero d’antan. Un classico dei classici, e uno dei motivi per cui siamo qui questa sera. E’ troppo hippie-eterea la Dream Weaver di Gary Wright, e ci pare incongrua la Kylie dei Mr.Mister cantata da Page (benissimo, per carità, chè il tipo dispone di un’ugola eccezionale) ma che poco o nulla ci azzecca con il Mersey Beat. Tutti in attesa quindi del ritorno a centro-palco di Ringo, che dapprima canta (e stona) la sua recente The Other Side Of Liverpool (carina), e quindi una Yellow Submarine vocalizzata in coro da tutto il pubblico, da grandi e soprattutto da piccini. Ringo per la verità non si concede molto, e preferisce tenersi ad accurata distanza dal pubblico: comprensibile, considerando oltre quanto capitato a Lennon anche la violenta intrusione subita in casa da George Harrison pochi mesi prima della morte.
La Starr della serata si va a riposare in camerino lasciando spazio ad una seconda sbrodolata del simpatico Edgar Winter (la celeberrima, benché parecchio datata, Frankestein), ma ritorna in tempo per Peace Dream, un estratto dall’ultimo album Y Not, malriuscito tentativo – va detto – di realizzare una canzone “alla John Lennon”; va un po’ meglio con la successiva Back Off Boogaloo, suo singolo dal testo nonsense che nel 1972 ebbe un buon successo. Quindi, ancora un pezzo dal repertorio dei Romantics, What I Like About You, prima di lasciar spazio al fantastico Rick Derringer che dà una dimostrazione di bravura (vocale e strumentale) con la sua Rock And Roll Hootchiekoo, suo travolgente hit del ’74 più noto in America di quanto non lo sia dalle nostre parti. Ringo, tornato dietro i tamburi, annuncia che sta per cantare un pezzo che suonava con una band di Liverpool ossia... Rory Storm & The Hurricanes... per poi precisare che in seguito la riprese anche con “un’altra” band, sempre di Liverpool. Si tratta di Boys, ovviamente, il primo brano mai inciso su nastro con la voce di Ringo Starr e quinta traccia di Please Please Me, anno di grazia millenovecentosessantrè. Ancora spazio – purtroppo – a Wright e Page, rispettivamente con My Love Is Alive e Broken Wings che più MOR non si può, poi il finale è interamente appannaggio di Ringo, che ha buon gioco nel confermare il suo intoccabile status nella Storia della Musica: Act Naturally - cover di Buck Owens - è un momento country riuscitissimo, e per il sottoscritto apice della serata, che per qualche minuto ridà vita alla magia di Help!, l’album che la conteneva. Più scontata invece With A Little Help From My Friends, pur apprezzatissima dal pubblico che la intona all’unisono. E qui Ringo si dirada, apparentemente esausto, per tornare solo per alcuni secondi per unirsi alla band in quello che è una sorta di sigla conclusiva sulle note di Give Peace A Chance dell’amico Lennon.
Più che un concerto, la celebrazione di un’icona della cultura Pop. L’esibizione in sé, infatti, a parte gli scarti da cavallo di razza di Rick Derringer, è stata un po’ meccanica, quasi frettolosa a tratti. Come se i musicisti fossero coscienti che in fondo, per la riuscita della serata bastava la semplice presenza di Ringo Starr al centro del palco. A volte – come durante I Wanna Be Your Man e Act Naturally - è stato davvero così, e la magia beatlesiana dei tempi che furono si è rinnovata quasi come per incanto. Altre volte - più spesso – si è avuta l’impressione di guardare (e sentire) la brutta copia di un’opera d’arte. Onore comunque a Ringo, e che Dio ce lo conservi - lui e Macca - per quanto sarà possibile.
SETLIST:
It Don’t Come Easy Honey Don’t Choose Love Hang On Sloopy Free Ride Talking In Your Sleep I Wanna Be Your Man Dream Weaver Kyrie The Other Side Of Liverpool Yellow Submarine Frankenstein Peace Dream Back Off Boogaloo What I Like About You Rock And Roll Hootchiekoo Boys My Love Is Alive Broken Wings Photograph Act Naturally With A Little Help From My Friends / Give Peace A Chance
Articolo del
13/07/2011 -
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