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È una serata molto ventilata quella in cui il Sinister Noise, locale attento non solo ai suoni pesanti provenienti da Oltralpe, chiude la sua programmazione estiva con un mini festival dove si esibiranno i Black Rainbows, seguiti da L’Ira del Baccano e in chiusura i tedeschi Samsara Blues Experiment. Erano due anni che inseguivamo questa formidabile band tedesca, rea di uno stupendo album intitolato Long Distance Trip.
Ma procedendo per ordine: alle 22.00, dopo una pizza e due birre, di fronte al locale incontriamo un furgoncino, con targa sospetta, circondato da 4 persone che fanno manovra nel tentativo disperato di parcheggiare lì dove uno chiunque di noi avrebbe parcheggiato in un minuto e mezzo di manovra. Ci siamo imbattuti casualmente nei membri della band che, per dirla con loro, si erano persi per “il fottuto navigatore andato a puttane". Sistemati gli strumenti i ragazzi risalgono per fumare (non so cosa) e bere qualche birra. Nel frattempo è quasi tutto pronto per l’esibizione sanguigna dei Black Rainbows, molto migliorati rispetto alla prima volta che li avevamo visti in apertura ai Dead Meadow. Il sound è massiccio e ricordano, manco a dirlo, i Black Sabbath e in qualche passaggio ai Motorhead, con svisate profondo porpora. La macchina che tiene in piedi tutto questo è il fragoroso batterista capace di riempire ogni spazio lasciato da basso e chitarre anch’esse in ottima forma. Gabriele e soci eseguono molti pezzi inediti del loro nuovo album, in uscita entro novembre, e qualche classico, poi fra un “motherfucker” e “rock and roll” di troppo lasciano la sala.
Mentre risaliamo su per respirare aria sana Hans e Richard sono molto divertiti dalla movida romana, un po’ stanchi ma pronti alla cavalcata psichedelica. Qualche foto di rito, a cui probabilmente non sono abituati, e un po’ di fauna autoctona sembrano destabilizzarli ma sorridono compiaciuti prima del loro show. Tutto questo ci costa l’esibizione de L’Ira del Baccano ma non i Re della serata.
Amplificazione Orange per le testate, chitarre e basso Fender sono i responsabili di un muro di suono aperto da Center Of The Sun, durante la cui esecuzione fiumi di wah-wah e distorsione mammut scorrono come lava appena eruttata. I 40 corpi rimasti in piedi all’una e mezza sono li per osannare questa formazione che, dal vivo, non si risparmia minimamente. Le jam sono selvagge e lunghe, i dialoghi fra le chitarre acidi e corrosivi. La voce, sepolta nel missaggio, è un urlo cavernoso mentre per la sezione ritmica svetta Richard con un suono pieno, non tecnicamente complesso ma molto devastante. Seguono pezzi inediti e la mastodontica Double Freedom, una cavalcata siderale giocata sulla parte psichedelica prima della deflagrazione finale. C’è ancora tempo per un rock and roll selvaggio che ricorda le suite dei Motorpsycho prima di For The Lost Souls e il suo “come on!” liberatorio che tutti attendiamo febbrilmente. È passata un’ora e mezza da quando i ragazzi sono saliti sul palco, ma non sembra essere abbastanza, seguono altri quindici minuti di chitarre sferraglianti mentre ci avviciniamo pericolosamente alle tre.
Esausti e sudati ringraziano Roma, i presenti per gli applausi e il Chinotto che Christian trova squisito. Il merchandising gli va a meraviglia, il concerto costa sei euro, la birra è fresca, l’acustica non pessima e le hanno fatte quasi tutte. Cos’altro si può desiderare dopo una serata di queste proporzioni? Il letto e un po’ di meritato riposo per i timpani.
Articolo del
21/07/2011 -
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