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C’è chi le definisce “minestre riscaldate”. Si sbagliano.
La prima serata del M.I.T. di quest’anno è sostanzialmente incentrata sui Primal Scream che ripropongono il loro capolavoro Screamadelica, che quest’anno compie ben vent’anni e se li porta benissimo. La performance di Bobby Gillespie e soci riscuote una discreta affluenza di pubblico, anche se non è quel pienone che sarebbe stato indice di una certa maturità da parte degli appassionati musicali italiani, specie se si considera che si trattava dell’unica data nel nostro paese, ciò nonostante i non pochi (ma comunque buoni) presenti animano la situazione fin dall’inizio dello show.
E’ appena iniziata Movin’ On Up, il titolo del brano d’apertura viene preso alla lettera come un vero e proprio invito, perché in un attimo sono già tutti in piedi intorno al palco, decontestualizzando immediatamente l’abituale mood composto e sobrio che si tiene solitamente all’Auditorium e trasformando la Cavea in una sorta di succursale della Brixton Academy. L’esecuzione dei primi tre brani è fedele all’ordine originale della tracklist dell’album, quindi con le successive Slip Inside This House e Don’t Fight It, Feel It va in scena un estasiante trionfo di stili, contaminazioni ed influenze, che spazia dal rock’n’roll di stampo britannico (con particolare ed evidente devozione verso i sempreverdi Rolling Stones), misto a gospel, funk, psichedelica e dub. Sfatiamo definitivamente la falsa ed errata idea della “minestra riscaldata” anche perché qui non si parla di una “one-hit band” bensì di uno dei capisaldi dell’alternative rock di tutti i tempi, che con questo lavoro (all’epoca fu il secondo disco della loro carriera) ha stabilito i canoni di quella che sarebbe stata la dimensione musicale della scena alternative europea dai primi anni 90 e per tutto il resto della decade. Ok, non si tratterà di una tournèe nuova, con lavori nuovi e nuove sfide da lanciare, qualsiasi situazione però non può essere giudicata mai a priori, perché tutto dipende sempre da chi, cosa e come viene fatto quello che si fa. La combinazione data dai pezzi di Screamadelica eseguita non più da quelli che all’epoca erano poco più che ragazzi di ottime speranze, ma ora da veri e propri musicisti esperti, è una combinazione che rende quest’esibizione un concerto a tutti gli effetti “must see”.
La setlist inizia a presentare le sue variazioni dall’ordine originale, con Damaged si evince quasi tutta quell’ammirazione che i Primal Scream nutrono verso Mick Jagger, Keith Richards e compagnia, come se fossero degli allievi (cresciuti però con droghe diverse) che magari non superano, ma sicuramente non fanno rimpiangere i maestri. Da I’m Coming Down ad Higher Than The Sun, passando per Shine Like Stars e Inner Flight, si vive il momento più introspettivo ed intimo del live, tutto sembra sciogliersi e mischiarsi, dalle sonorità acide ma suadenti, alla voce flebile ma tagliente di Gillespie, ai respiri del pubblico che circondano lo stage, alle luci colorate, alle immagini psichedeliche proiettate sul gigantesco schermo alle spalle della band di origine scozzese.
Il risveglio da questo trip collettivo avviene con Loaded, pezzo di punta dell’album, che contiene al suo interno una chiarissima citazione-tributo a Sympathy For The Devil, il pubblico infatti si diverte ad intonare anche il celeberrimo “uh-uh” finchè, una volta esaurito il momento dell’omaggio agli Stones, le note prendono la loro strada originale. La chiusura è affidata a Come Together, che cavalcando l’onda dell’entusiasmo si trasforma in una festa corale che è solo il preludio a quello che avverrà di lì a poco. La band abbandona il palco e vi ritorna per l’encore dopo pochi minuti acclamata dai presenti, i bis sono molto festaioli e decisamente più improntati sul rock. A voler essere puntigliosi, essendo stati inseriti nel contesto di una convention di musica electronica, forse i Primal Scream avrebbero potuto decidere di eseguire brani più pertinenti come Swastika Eyes o Miss Lucifer, ma ormai non importa perché nessuno sembra aver intenzione di mettersi a guardare il pelo nell’uovo, così Country Girl, tratta dal singolarissimo album di più recente produzione Riot City Blues, è solo il primo dei tre pezzi conclusivi, che porteranno l’euforia a livelli debordanti, in tutti i sensi. Così dopo Jailbird è la volta di Rocks, Bobby Gillespie invita il pubblico a invadere il palco, cosa che avviene con puntualità svizzera per un finale trionfalmente anarchico ed incredibile, come successe anche con Tricky l’anno scorso. Si vede che la Cavea ispira...
Articolo del
26/07/2011 -
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