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Sinceramente non mi aspettavo uno spettacolo del genere, un concerto così intenso e vibrante, almeno non da lui, il redivivo Joe Cocker, glorioso bluesman inglese di nascita, ma americano di adozione. Lo avevo incontrato di persona per un’intervista nel lontano 1992, ai tempi di Night Calls e mi era sembrato decisamente giù di tono. Erano già passati trenta anni allora dalla sua indimenticabile live performance di Woodstock e il suo declino sembrava inevitabile. Adesso parlare dei giorni del Peace & Love Festival del 1968 sembra quanto meno anacronistico, roba da libro di storia per il liceo, e Joe Cocker si aggira intorno ai 67 anni d’età. Cosa aspettarsi quindi da un concerto come quello di stasera?
E invece no. Tutto sbagliato, tutto il contrario. Prima sorpresa, il pubblico. Nonostante il temporale che si è abbattuto su Roma a partire dal tardo pomeriggio, nessuno è rimasto a casa e il personale di Musica per Roma ha saggiamente provveduto a spostare la data dell'Hard Knocks Tour di Joe Cocker, inizialmente prevista per la Cavea, all’interno di una Sala Santa Cecilia che offre il meglio di sé, riempita in ogni ordine di posto, sia in platea che in galleria. Non ci sono soltanto nostalgici dei primi anni Settanta con mogli al seguito, ma anche le nuove leve del Soul e del Rhythm & Blues, giovani sopra i 20 anni anni che evidentemente hanno voglia di attingere alle radici della musica vera. Joe Cocker si presenta con una band di tutto rispetto e con un repertorio ben calibrato in scaletta, molto abile nel dosare vecchi successi e i nuovi brani contenuti su Hard Knocks, il nuovo album. Seconda sorpresa, la voce di Joe Cocker. Non c’è niente da fare, ogni sua interpretazione è da brividi, in particolare quando si dedica a love ballads intense ed appassionate come Up Where We Belong, scritta da Buffy Saint-Marie, come You Are So Beautiful, un vecchio successo di Billy Preston, come la drammatica N’oubliez Jamais o la più recente Unforgiven. Certo, le forme melodiche, l’approccio prescelto è quello della Pop Music, ma di gran classe ed impregnata di Blues e di vecchio Soul di origine controllata. Quando poi arriva il momento dei brani più attesi, come You Can Leave Your Hat On, scritta da Randy Newman e diventata celebre anche per merito del film Nove settimane e mezzo, scopriamo che Joe Cocker regge benissimo la scena e accompagna i diversi passaggi ritmici con dei saltelli degni di una “ripetuta” effettuata dai calciatori in ritiro per prepararsi alla prossima stagione agonistica. Durante l’esecuzione del brano, una delle due coriste, la bionda, una creatura giunonica in shorts e calze a rete, si dimena sensualmente e mette in evidenza qualcosa in più del suo talento vocale. Non è particolarmente aggraziata, ma ci sa fare, questa Kim Basinger del Tufello e l’intrattenimento ne guadagna. Il pubblico si scalda moltissimo, anche di più, al momento dell’esecuzione di Unchain My Heart, canzone scritta da Ray Charles che però Joe Cocker portò al successo internazionale. Sono tutti in piedi a battere le mani e ad accompagnare questa cavalcata instancabile di un vecchio leone del Rhythm & Blues, unico bianco con una voce nera, roca, calda e sensuale, niente affatto intaccata dallo scorrere degli anni. Altro momento topico, davvero il climax di tutta la serata è quando le tastiere prima e una chitarra elettrica lancinante poi introducono With A Little Help From My Friends, la canzone di John Lennon e Paul McCartney a cui Joe Cocker seppe dare una interpretazione unica ed insuperabile in quel di Woodstock, tanti anni fa. Lui è emozionato, noi pure, un brivido scorre lungo la schiena dei presenti, sono suoni curativi e la voce di Joe poi ti rimette al mondo, più di qualsiasi medicina, meglio di qualsiasi terapia. Il crescendo finale è gigantesco, le coriste arrivano dove lui con gli acuti non più arrivare, la sala è una bolgia, le chitarre squarciano le poltrone, abbandoniamo i nostri posti a sedere, siamo tutti sotto palco, me lo trovo davanti, il volto scavato non nasconde le rughe, il corpo ha un incedere lento, ma quei suoni gli danno una spinta che è irrazionale, che è sua e nostra allo stesso momento, che è segno di qualcosa che non muore, che lo tiene in vita anzi, di più, che gli permette di far volare alto il suo grido blues una volta ancora.
“I love you Rome”, saluta tutti e sparisce nel backstage, ma solo per pochi minuti. Altri tre pezzi per un finale stratosferico aperto da She Came In Through The Bathroom Window altra citazione dei Beatles, e che comprende anche classici immarcescibili come Cry Me A River di Ella Fitzgerald e la spumeggiante High Time We Went.
Un trionfo tanto inaspettato quanto incontestabile. Una serata di musica che non sarà facile dimenticare.
SETLIST:
1. Hitchcock Railway 2. Feelin' Alright (Traffic cover) 3. The Letter (The Box Tops cover) 4. When the Night Comes 5. Unforgiven 6. Summer In The City (The Lovin' Spoonful cover) 7. Up Where We Belong 8. You Are So Beautiful (Billy Preston cover) 9. Hard Knocks 10. N’oubliez Jamais 11. Come Together (The Beatles cover) 12. You Can Leave Your Hat On (Randy Newman cover) 13. Unchain My Heart (Ray Charles cover) 14. With a Little Help from My Friends (The Beatles cover)
Encore:
15. She Came In Through The Bathroom Window (The Beatles cover) 16. Cry Me A River (Ella Fitzgerald cover) 17. High Time We Went
Articolo del
07/08/2011 -
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