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Quest’anno il miglior festival di musica elettronica romano e non solo (soprattutto dopo il forfait di Dissonanze) si fa in due giorni: noi abbiamo assistito alla seconda serata-nottata. Arriviamo colpevolmente in ritardo e con la notizia appena giunta della morte della nostra amata Amy Winehouse nel cuore: quindi un misto di immensa tristezza e malinconica attesa per la nottata elettronica che ci aspetta.
Corriamo verso la Sala Petrassi per recuperare il tempo perduto della performance Pathosformel + port-royal. Riusciamo a vederne solo una mezz’ora, ma rimaniamo un po’ delusi, non solo dalla danza di Pathosformel, ma dalla partitura di port-royal, che ci pare poco innovativa rispetto anche alle loro ultime performance live. Forse era troppa l’attesa, ma poiché riteniamo port-royal il miglior ensemble elettronico italiano – con grande creatività anche per la parte video – ci è sembrato piuttosto scontata e banale la loro performance, rispetto all’inaudita potenza poetica dei loro lavori in studio e soprattutto dei live più recenti. Probabile che la colpa sia la nostra, quindi aspettiamo l’eventuale pubblicazione del lavoro. Al momento dei frettolosi applausi finali ci accorgiamo che in sala saremo al massimo in una cinquantina, complice questo orario di inizio più adeguato ad un aperitivo, che a un concerto.
Si passa al live delle geniali sorelline CocoRosie in una Sala Sinopoli discretamente affollata. È un set oscuro, da fiaba post-moderna, affollato da suoni acustici e campionamenti, canti e filastrocche, parrucche e travestimenti, cappucci bianchi ed elmi mitologici: una disincantata e sorridente discesa in sonorità melodiose e spiazzanti allo stesso tempo; come sorridenti e spiazzanti sono le due sorelle e i loro ripetuti ringraziamenti in italiano. Soprattutto una cura meticolosa delle voci e dei tessuti sonori, che viene resa al meglio dall’acustica della sala e che il pubblico avrebbe sicuramente gustato per numerosi bis che non hanno potuto concedere.
Ma contemporaneamente c’è il prodigioso Gold Panda al Teatro Studio e uno di noi due è lì: sala non troppo piena, il nostro con felpetta e cappuccio di ordinanza è dietro mixer, tastiera, campionatori, laptop, pronto a un set tirato, poetico e divertente allo stesso tempo. Siamo sotto cassa (cioè un po’ dietro rispetto alle primissime file, poiché le casse sono sospese diversi metri prima del palco), pronti a ricevere tutti i beat e le malinconiche note che ci hanno stregato dai tempi del singolo You e poi del capolavoro Lucky Shiner. Non rimaniamo delusi: precipitiamo in un vortice di campionamenti perfetti, milioni di beat in controtempo, tappeti sonori che riescono ad evocare contemporaneamente l’estremo oriente della sua formazione, con i primi vagiti electro della scena inglese anni ’80: una specie di Jim Foetus folgorato sulla via dei New Order, dentro l’insegnamento decostruttivo della dorsale Aphex Twin/Squarepusher; non a caso l’unico bis che ha potuto concedere – dati i tempi strettissimi – sembra uscire da un rimescolamento delle sonorità IDM dei due maestri. Davvero grande performance e ottimi auspici per Gold Panda.
Non c’è pausa, si arriva all’aperto della Cavea dove i due Modeselektor allestiscono un dj & live set di rara potenza coatta: suoni perfetti per mandare in delirio le centinaia di ballerini sotto il palco e soprattutto in tilt una security del tutto inadeguata, che costringerà i nostri dj a dei richiami verbali per la loro animosità nel trattenere alcuni spettatori-danzatori (in quale Festival in giro per l’Europa si sente il dj abbassare il volume e urlare “Security, please! We are in peace! Security be calm!!”). È un’ora di set infuocato in cui i due-tre mila spettatori presenti si divertono in modo rilassato e composto, disponendosi sia sotto il palco, che sugli spalti. E i due Modeselektor spingono sul pedale dei bassi profondissimi, dei beat forsennati, del fomento permanente: un delirio, seppure breve!
Subito dopo arriva Sascha Ring aka Apparat con la sua band a stemperare le danze del pubblico con un live che probabilmente risente della svolta “suonata” di questo folletto elettronico. Siamo ammiratori indiscussi e duraturi dei lavori di Apparat, da solo, con Ellen Allien, con Modeselektor in Moderat, soprattutto dei suoi infuocati dj & live set, che abbiamo assai frequentato: in definitiva di tutta la sua poetica da new bohème nella Berlino della Germania riunificata. Qui Apparat & Band anticipano gran parte del loro lavoro in uscita a settembre e (anche se ci auguriamo di essere contraddetti nell’ascolto dell’intero cd in studio) rimaniamo assai delusi, poiché sembra di perdersi in una versione minore di un dark-post-rock oramai d’antan, in cui la voce di Sacha fa il verso a qualcosa di lontanamente accostabile ai Mùm, mentre il tappeto sonoro è inadeguato a qualsiasi paragone. E a nulla serve riprendere pezzi come Rusty Nails, che perde il tempo da battere, in questa versione suonata. Ci sembra una prova che necessita di ulteriori miglioramenti e aggiustamenti; ma saremo felici di essere sconfessati dall’ascolto del lavoro completo! Da notare che il live soporifero è stato accompagnato da otto tipi della sicurezza nero-vestiti, acquattati sul limite del palco, pronti a partire per bloccare i fantasmi di un pubblico preso a fumare e bere, piuttosto che a danzare.
Decidiamo di riprenderci anche noi, bevendo qualcosa e assistendo a decine di spettatori che escono annoiati dalla performance Stateless, che a questo punto preferiamo risparmiarci, per metterci in fila per Nicolas Jaar, ma rimaniamo profondamente dispiaciuti dal fatto che il Teatro Studio appare pieno. Non molliamo perché ci teniamo assai a vedere il giovin genietto di NY (seppure cresciuto in Cile), in più gli altri sodali nella fila ci raccontano che lo stesso è avvenuto per Gold Panda, mentre noi eravamo dentro e non ci sembrava la sala fosse così piena, a dir la verità. Si rumoreggia, nessuno degli organizzatori che si scusi per i disguidi, figurarsi quelli della sicurezza, che rispondo sempre a muso duro, manco fossimo noiosi questuanti. Purtroppo riusciremo ad entrare solo per gli ultimi venti minuti del suo live e ancora una volta la sala non ci pare così piena, tant’è che conquistiamo subito le prime file. Assistiamo a un frammento di performance formidabile, in cui le sperimentazioni electro-acustiche e solitarie del nostro si alternano con l’accompagnamento di un terzetto chitarra, batteria, tastiere+sax. Una via di mezzo tra epica elettronica e tratti che ricordano Clock DVA: una sorta di blues romantico del terzo millennio, come forse egli stesso ama descrivere il suo suono.
Rimaniamo in poche decine in attesa del dj set di Kode9, che tarda, per mancanza di pubblico, ci pare. Ma resistiamo lì, che avendolo già visto un paio di volte tra Corsica Studios e dintorni siamo pronti a tuffarci in un set che pensiamo impastato dei cupi bassi del dubstep a venire. In realtà rimaniamo abbastanza delusi da un set che sembra non riuscire a prendere il ritmo giusto, mentre il pubblico comincia ad affluire e pur con dei bassi potenti che guiderebbero le danze: sonorità quasi tribali si mescolano a beat metropolitani, che solo raramente trasmettono il coinvolgimento giusto. Nel mentre i tipi della sicurezza impazzavano anche qui, redarguendo con fare brusco e aggressivo non sappiamo bene per quale ragione decine di giovani spettatori. Quando sono oramai quasi le quattro il buon Steve Goodman aka Kode9 decide di regalarci la perla di un inatteso, ma strenuamente richiesto bis: una versione ulteriormente sincopata di Archangel di Burial, che scatena il delirio dei ballerini resistenti.
Torniamo a casa esausti e felici, seppur con la nota dolente security, che avrebbe dovuto essere più adeguata ad eventi del genere, rispetto alla necessaria cortesia, professionalità, gentilezza e competenza di comportamenti, che si dovrebbero usare a fronte di un pubblico assolutamente rilassato, pacifico, scanzonato e per nulla alterato, come quello che sciamava da una parte all’altra dell’Auditorium. Siamo sicuri che la prossima volta non ci saranno questi inconvenienti, proprio per non vanificare il meritorio impegno delle società organizzatrici di MIT. In ogni caso: complimenti agli organizzatori e lunga vita a Meet In Town, quindi, con le accortezze dovute!!
Articolo del
06/08/2011 -
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