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Un paesino di poche anime pronte a moltiplicarsi nell’occasione di un Festival rock. La ricetta dell’Ypsigrock Festival di Castelbuono è semplice e originale. C’è l’entusiasmo per la buona musica e l’urgenza di uscire dal bozzolo delle scene locali per riaffermarsi finalmente dentro la portata di un evento internazionale. Per queste ragioni l’Ypsi è ‘love’, qualcosa di cui godere tra gli showcase pomeridiani, il palco notturno e l’immancabile dj set di Shirt Vs. T-Shirt nel Parco delle Madonie. La formula è stuzzicante e il programma più alto dei precedenti. L’onere dell’imbrunire questa volta è toccato a Kyle, Fjelds, Marlowe, Alga Mary, Camera 237, Colapesce, Y Factor. Ritmi felpati, crepuscolo, chitarre e qualche percussione a rappresentanza di una piccola nazione che si è fatta grande.
L’apertura della quindicesima edizione è stata sorprendente ma a tratti, diciamo, anche un po’ triste. Spiritualized, cioè Jason Pierce al secolo Spaceman 3 dà buca, problemi di salute si tramanda. Delusione per una discografia che ha dell’incredibile e una formazione che ha segnato l’andamento musicale degli ultimi decenni. L’assenza ferisce e di fatti non si tarda a sentire qualche loro pezzo durante i cambi di palco. I Pere Ubu di David Thomas suggellano così la prima giornata. Carico ancora di un passato luccicante, l’alfiere del modernariato dance ‘made’ in Cleveland regge il movimento idolatrante del pubblico con bretelle, camicia boscaiola e calze di lana. Tra bottiglie di vino e boccali di birra metabolizza “Modern Dance” (1978) come una clessidra che ama ancora convertire la resistenza punk in una forma rock rinvigorita dall’alto dei suoi sessant’anni. I Captain Quentin ne fanno da premessa, piazzandosi presto come la buona occasione della serata. Musica strumentale e sapientemente synth, questi gli ingredienti di “Instrumental Jet Set”, un disco che ascoltato dal vivo ha dignità da vendere. Avamposto di un futuro possibile, per inventiva e capacità i Captain Quentin sono quasi superiori a quanto segue. E il caso di Josh T Pearson, texano, gioiellino di punta dalla Mute Records grazie all’ultimo “Last Of The Country Gentlemen”. Per capire il soggetto bisogna guardare dentro le asperità della vita. La sua storia personale è fatta di barba incolta, stivali folk, animismo, sguardi dispersi oltre gli oceani e l’eden terrestre. Toccante, commovente, di poche parole se non le sue. George Lewis alias Twin Shadow è invece più giovane e sbarazzino di quanto ci si poteva aspettare dallo Slow-video caricato su youtube. Nel backstage si racconta che è una bellezza. Concede foto, sorride a chiunque e insieme alla band si presenta sul palco con gran classe. Il pubblico riconosce “Forget” come album dell’anno e tra cori e applausi non avverte la necessità degli Smiths.
Il giorno dopo ad emergere da qualche riva cazzara sono gli Honeybird & the Birdies. Un mix di kalimba, flauti, tucani tropicalisti, twee e funky che unito alla mescolanza indoeuropea dei testi fa dell’ensemble un gruppo poliedrico e di frontiera. Ma la giornata del 6 agosto è tutta per Junior Boys. Patinati, melodici, elettronica arricchita da bip in modo un po’ parossistico. Un viaggio romantico ed immaginario dove la fantasia epigona dei trascorsi pesa più delle scarne strumentazioni impiegate dal duo canadese. Parecchio fiacchi per competere con la voracità dell’elettronica attuale. Resta il nome e un congedo personale, “So This Is Goodbye”. C’è anche il momento Pitchfork con Yuck, salvo poi capire che da Brighton ci sono gli Esben and The Witch. E allora la simpatia verso l’isola britannica raddrizza nettamente il tiro. Dal vivo il quintetto di Londra è uno shortino ingollato tra i sedili di una macchina scassinata a rallenty. La viola piangente, invece, sul palco è molto più irrequieta e sfilacciata di mille flanelle e riff mancati dall’autoradio dei ‘90. Vince la classe e la fisicità di un live che riesce a smaltire l’indolenza wave di “Violent Cries” attraverso le vesti convulse di un cerimoniale bello e obliquo. Timidi e gentili, sfoderano una sinfonia percussiva geometricamente costruita per un’estrema esalazione spettrale. Per pochi intimi. I migliori insieme a Mount Kimbie. Al duo londinese tocca l’ultima serata, la più effervescente visto il sold-out delle presenze. Dominic Maker e Kai Campos si concentrano sulle atmosfere screziate dell’elettronica postmoderna, quella da impulso visionario e glitch furibondo. Un’alterità dinamica che concede riconoscimenti immediati, accumuli dubstep e molteplici pulsioni rock dell’approccio. Prossimi eredi di Four Tet. Sullo stesso palco i Dimartino. Loro giocano in casa: siciliani, giovanissimi, sono la piacevole scoperta dell’anno con “Cara Maestra Abbiamo Perso”. Una tecnica che dichiarata dal vivo supera di gran lunga il fascino oltremondano del disco. Ma la notte, intanto, è calata da un pezzo. Sono le ventitre all’incirca quando ci si prepara alle stelle col timone rivolto verso l’alto, un groppo in gola e le lacrime trattenute negli occhi. La dimensione temporale si arresta, ci sono solo assalti di chitarre e irruzioni di batteria scagliate in aria. I Mogwai fanno sempre lo stesso effetto. Nulla conta più al dispetto di ciò che si avverte dentro perché potresti anche essere morto e non saperlo. La pace immobilizza un incanto che pervade pubblico, addetti, fotografi. La poesia è imponente umanità, una tavolozza sonora impiegata da deflagrazioni aerodinamiche e pulsazioni viscerali. Alle loro spalle le immagini dei videoclip fluiscono lente insieme al ricordo di tutte le meraviglie racchiuse dentro le tre splendide giornate dell’Ypsigrock. Dopo resta solo la commozione per un evento eccezionale, la serenità di non riuscire più a spiaccicare parola in una piazza prossima alla desertificazione finale. Le facce paralizzate a reggere meglio lo scossone atemporale degli scozzesi e la voglia di ricominciare tutto daccapo.
MOGWAI SETLIST White Noise Killing All The Flies Rano Pano I'm Jim Morrison I'm Dead How To Be A Werewolf Friends Of The Night 2 Rights Make 1 Wrong New Paths To Helicon Part 1 You’re Lionel Richie Hunted By A Freak Mogwai Fear Satan Mexican Gran Prix BIS: Auto Rock Batcat
Articolo del
18/08/2011 -
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