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“Le nostre canzoni parlano di quattro e soltanto quattro cose: bere, tradire, uccidere e l’inferno. Con un’enfasi particolare per gli omicidi e la morte!” E’ così che John Wheeler, cantante, chitarrista e violinista degli Hayseed Dixie presenta il concerto della sua band, un’aria da brutto ceffo cattivone, ma solo per gioco, che incarna i “sani valori” di ogni buon redneck, per una serata all’insegna della goliardia e di spassose quanto grevi gag, roba da “osteria numero mille” per chi sa cosa si intende...
Per chi non li conoscesse, e non ci sarebbe da stupirsi visto che in Italia sono ancora da considerarsi un gruppo di nicchia, gli Hayseed Dixie (già pronunciando il nome sarà facile capire da quale storica band abbiano tratto la maggior parte dell’ispirazione) sono una compagine di quattro elementi che ha iniziato a suonare insieme quasi per gioco riarrangiando in chiave bluegrass le canzoni degli Ac/Dc e in seguito di altri grandi gruppi del rock targato anni 70/80. Finché i quattro non hanno iniziato a riscuotere consensi ed il successo, che è aumentato esponenzialmente col passare degli anni, li ha portati ad esibirsi in mezzo mondo con dei set principalmente composti da cover, ma che scuotono dannatamente gli animi, condito dalle esilaranti porcherie raccontate tra un pezzo e l’altro da John. La formazione del gruppo è composta inoltre dai fratelli Reno, Don Wayne al banjo, Dale al mandolino ed infine Jason Byers al basso acustico. Come racconta John Wheeler, i fratelli Reno sono ambedue figli d’arte, il bluegrass è per loro infatti un affare di famiglia essendo stato loro padre Don una vera e propria istituzione del genere, nonché creatore di quello stile che loro stessi ora tramandano alle nuove generazioni. La scaletta è soprattutto composta da cover, sono pochi i pezzi originali della band, d’altro canto è questo che il pubblico vuole e la loro fama è dovuta di fatto totalmente alle loro rivisitazioni illustri. Gli originali sono tutto un programma, come She Was Skinny When I Met Her, I’m Keeping Your Poop, che parla di una relazione finita, della quale però il protagonista conserva un “ricordino”, vale a dire un... campione di feci (per non essere troppo espliciti) chiuso in una scatola ed infine Wish I Was You (To Fuck Me) che a suo modo si può interpretare come un bel complimento data la situazione, che per chi ha confidenza con la lingua, o con dizionario alla mano, non necessita di molte spiegazioni...! Quindi ecco i grandi classici, dal repertorio degli Ac/Dc non potevano mancare Dirty Deeds Done Dirty Cheap, T.N.T. (con grande partecipazione del pubblico), You Shook Me All Night Long e Highway To Hell, poi altre chicche come Detroit Rock City, cavallo di battaglia dei Kiss, War Pigs dal repertorio dei Black Sabbath, Black Dog dei Led Zeppelin, la celeberrima Ace Of Spades dei Motorhead, Bad Moon Rising firmata Creedence Clearwater Revival, Poison di Alice Cooper, Walk This Way degli Aerosmith, Bohemian Rhapsody targata Queen, finanche Strawberry Fields dei Beatles.
Il momento top è quando prima dell’ultimo pezzo (Duelin’ Banjos) la band lascia il palco, fin qui nulla di anomalo, il pubblico chiede il bis e la band fa il suo ritorno per eseguirlo, se non fosse che il primo a rientrare è sempre Wheeler che spiega “Non è che vogliamo fare le rockstar, ma dopo un po’ di birre dovremmo andare a pisciare! Io però no... io sudo!” e quando si strizza la maglietta zuppa al Circolo è puro delirio!
Articolo del
01/10/2011 -
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