Wayne Shorter Wayne Shorter Quartet live @ Auditorium Parco della Musica, Sala Santa Cecilia - Roma, 17 ottobre 2011 Roma  17/10/2011 di Giuseppe Celano

Con il primo freddo ci pensa la rassegna Roma Jazz Festival a scaldare le nostre membra intirizzite da questo vento che ha fatto precipitare le temperature costringendo tutti ad accettare che l’estate è veramente finita. A dar fuoco alle polveri, in netto anticipo, è il veterano Wayne Shorter che in mattinata si concede a interviste e fotografie mentre parla di questo nuovo percorso in cui si è felicemente imbarcato.

Il quartetto arriva sul palco della Sala Santa Cecilia alle 21.15, ognuno dei membri è un leader a sé, la fusione fra questi giganti da origine ad uno spettacolo lento e maestoso che possiamo suddividere in due parti. La prima vede uno Shorter poco presente, come se non trovasse quella feritoia per inserirsi fra la logorrea dei tre membri che definiremmo perfetti.
La sezione ritmica è inarrivabile: Patitucci sconvolge la tastiera del suo contrabbasso mentre dietro le pelli quel semidio di Brian Blade accelera e arricchisce di colore un incipit che stenta a decollare davvero.
Bisogna attendere la fine della prima lunghissima suite per le prime vere emozioni sgorgate dai pattern intricati e violenti dello stesso Blade che, pungolato da Patitucci, si proietta in un solo pirotecnico durante il quale perde due o tre bacchette tanta è l’energia con cui percuote i tom. Fra i due condottieri ritmici s’inserisce, spesso guidando questo titanico quartetto, Danilo Pérez formidabile pianista capace di un tocco morbido e di sfuriate potentissime. Il gruppo è un meraviglioso bastone della vecchiaia per Wayne che, vuoi per pigrizia o perché non ha nulla da dimostrare, rimane quasi in disparte per tutta la prima parte dello show.

La chimica travolgente del suo quartetto però rasenta l’equilibrio perfetto dopo aver riacquisito il “dormiente” Wayne e da metà spettacolo in poi il cambio di registro è notevole. Il fraseggio veloce ed articolato viene espulso dal sax soprano mentre per i suoni lenti e diradati Shorter opta per il sax tenore. Da qui in poi il crescendo di lotte ritmiche, di intrecci complicati e i dialoghi fra pianoforte e batteria sono da apnea. Nei momenti in cui Brian appesantisce i suoi colpi il povero Patitucci viene penalizzato da un’amplificazione inadatta a far emergere il suo basso, ma un occhio attento e un orecchio allenato non possono essere ingannati. Il lavoro fatto da questo bassista è eccelso, gli scontri diretti con Perez sono fra le cose più avvincenti dell’intera serata.

Mentre alcuni, dopo un’ora e mezza, abbandonano la sala altri rumoreggiano per poter usufruire ancora di qualche goccia di questo distillato dal sapore vintage. La band non si tira indietro con ben tre i bis innalza il livello di calore. Con il passare dei minuti Shorter se la ride sornione, poi sfida a singolar tenzone Blade le cui movenze e gli scatti continui ci fanno temere che ruzzoli dallo gabellino da un momento all’altro, forse neanche questo basterebbe a fermarlo.
Il resto è puro piacere per le orecchie, la mente si svuota, i suoni la invadono senza occuparla, le nostre mani e gambe si muovono nervose nel tentativo di afferrare il ritmo, a volte indiavolato. Per un momento l’impressione di poter far parte di questo pezzetto ci storia ci lascia piacevolmente storditi.
Alla fine i sorrisi del pubblico la dicono lunga sull’esito di questa serata, e questo è solo l’inizio.