Craft Spells Craft Spells + Girls Names live @ Circolo degli Artisti - Roma, 29 ottobre 2011 Roma  29/10/2011 di Maria Francesca Palermo

L’onda lunga della wave consente di surfare tra i continenti alla ricerca di un posto caldo e non troppo lontano dalle spiagge della California o da quelle più riparate di Belfast, perché tanto in entrambi i casi l’aria è gioviale, tamburellata senza nessuna sosta in una tonalità di colore così inebriante che non si può fare a meno di chiudere un occhio. Il pontone del pop è assortito per l’occasione dalla Captured Tracks, giovane etichetta dalle ottime aspettative che di casa fa Brooklyn, ma spinge oltre i confini con il passo svelto di chi non vuole proprio lasciarsi fregare dai chilometri nel tentativo di incanalare i territori della Cool Britannia attraverso i riflessi più aspri del garage americano. Wild Nothing e Beach Fossils sono i principali nomi che hanno portato a segno il risultato dell’etichetta, consentendogli elogi e classifiche nel giro di pochi mesi sulla base delle medesime coordinate.
Impresa riuscita bene, talmente tanto da alimentare la nostra curiosità alla volta di Girls Names e Craft Spells, due giovani band promosse nell’alveo sonoro della stessa Captured Tracks, più o meno ventenni e in fissa con il modello rarefatto dal pop elettronico, da spiaggia, da college, da borgata in fiore, cioè fortemente in bilico tra New Order e Sarah Records.

Una miscela di hit profanate e coperte da un lampo di effetti sonori ammalianti che vede in apertura l’esordio dei britannici Girls Names scagliato addosso alla California ultra pop dei Craft Spells. Modello Sixties per i primi, volutamente anacronistico, e saldamente ancorato a tentazioni garagistiche e lo-fi. Più spigliati e incoscienti i secondi nella voglia di introiettare certe sonorità guitar-oriented tipiche dello shoegaze. L’incontro tra le due band sembra a dir poco azzeccato, viste le atmosfere che accomunano i rispettivi esordi. Tutto ruota intorno all’imitazione più o meno pedissequa di modelli altrui dove a salvarsi è solo, probabilmente, la capacità di riuscire a fare un po’ di baccano tra le pagine di quell’America indie che oggi si riscopre in perenne sensazione déja vu.

Ė così che sul palco i Craft Spells di Justin Paul Vallesteros rimodulano la lezione sintetizzata della chill wave su chitarre distorte, riverberi di synth e scioltezze adolescenziali varie che sembrano, in ogni caso nascere, da una costola di Curtis. A volte sono riff ripetitivi a scandire il tempo, a volte una voce distante che prelude ai classici del genere restituendo aperture ombrose e vagamente più raffinate. Manca forse la melodia killer, la scintilla di personalità che probabilmente nessuna delle due band possiede ancora per scarna esperienza e troppa giovinezza. Motivo per cui gli album filano via abbastanza lisci tra linee di basso veloci che catturano un facile ascolto filtrando nella mente il background di appartenenza. Ma il live è davvero altra cosa, all’acqua di rose si direbbe: a sentirsi è solo il profumo pedestre dei fiori bianchi di Morrissey o quello stilizzato nella natura morta dei New Order. Un piacere che affascina solo per i primi minuti.

(La foto dei Craft Spells al Circolo degli Artisti è di Marcello Linzalone)