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Nel salotto di casa Zirilli si sono radunati un po’ di amici, una cinquantina di persone almeno, per Carrie Rodriguez. Cantautrice folk di Austin-Texas con origini messicane, di ritorno da San Remo dopo la sua partecipazione al Premio Tenco 2011, accompagnata dal chitarrista Luke Jacobs (Romantica) ci concede uno showcase prima di riprendere il suo tour in Italia per poi tornare in USA.
Figlia d’arte, suo padre David apprezzato folksinger con 9 dischi all’attivo e sua prozia per parte di madre era Eva Ganta, cantante di musica latina di successo negli anni ’50. Molti grandi nomi della scena americana tra gli amici di famiglia, fra tutti Lyle Lovett figura importante per lei e che l’ha incoraggiata e aiutata nella sua carriera, ha iniziato a suonare il violino a 5 anni e pensava di fare solo quello. Ma l’incontro con Chip Taylor nel 2001 è stato il punto di svolta. Le propone di collaborare con lui, spronandola a cantare anche, e insieme realizzano 5 dischi e diversi tour in America e Europa, fino a quando nel 2006 fa il grande salto e pubblica il suo primo disco solista Seven Angels On A Bicycle (con Bill Frisell e Greg Leisz), seguirà She Ain’t Me, nel 2008, (che include una canzone composta a quattro mani con Mary Gauthier) e poi Live In Louiseville, nel 2009, dove compaiono canzoni eseguite con Lucinda Williams. Nel 2010 esce un album di cover dove rende omaggio agli artisti che l’hanno influenzata, Love & Circumstance. Alla base della sua musica una grande capacità tecnica sugli strumenti (violino in primis, mandolino e chitarra tenore) e una voce corposa e profonda, oltre che un’attenzione particolare ai testi.
Le ho chiesto di raccontarmi qualcosa...
Essendo figlia d’arte, tuo padre cantante, tua zia cantante, poteva esserci la possibilità di fare qualcosa di diverso dalla musicista? Il tuo destino era già scritto o è stata una vera e propria scelta?
E’ stata una scelta. Mia madre è una pittrice, e una grande appassionata di musica, da quando ero molto piccola ricordo di aver sempre ascoltato ottima musica in casa, a lei piaceva molto la musica classica e l’opera, ho ascoltato molta musica suonata con strumenti a corda, molti violini e questo penso sia stato il motivo per cui ho scelto di suonare il violino, avevo 5 anni e c’era l’occasione di prendere lezioni alle elementari, e così ho voluto farlo. Quindi si è stata una scelta, non sono stati i miei genitori a obbligarmi... In verità non sono granchè brava in niente, davvero!! Mi sono sempre piaciute le lingue, parlo l’inglese e lo spagnolo, magari avrei continuato a studiare…chissà! Magari avrei imparato bene anche l’italiano!
E la scelta del genere folk, è stata una scelta spontanea dato che era il genere in cui si muoveva tuo padre? Ho dato una scorsa ai testi delle tue canzoni, e spesso parlano di famiglia, di attaccamento alle proprie radici, allora mi chiedo se è un modo per celebrare la tua famiglia e le tue radici?
Sì lo è, e in un certo senso è anche un modo per onorare le tradizioni musicali del paese da dove provengo. Il Texas ha una lunga storia di cantanti folk, gente come Townes Van Zandt, Lucinda Williams, Guy Clarke, Lyle Lovett, ci sono tanti grandi cantautori, credo che crescere lì e vederli da vicino, e sono più famosi di chiunque altro. Io fino a un certo punto credevo che Townes Van Zandt fosse più famoso di Bob Dylan, poi certo dopo che sono cresciuta mi sono resa conto che non era così. E anche mio padre mi ha fatto ascoltare moltissima musica folk, addirittura mi ha regalato un disco di Leonard Cohen per un mio compleanno ma avevo solo 9 anni e non ho potuto apprezzarlo come si deve.
E non c’è un altro genere musicale che vorresti interpretare?
A dire il vero mi piace mettere cose diverse nelle mie canzoni, anche quando scrivo musica folk parte del divertimento è nel provare altre versioni, mi piace suonare col mio gruppo e rockeggiare un po’, improvvisare un po’ col violino, e poi ascolto tutti i generi musicali, world music, rock alternativo, e magari un po’ di tutto viene fuori.
Questa è stata la tua prima volta in Italia, sei stata ospite al Premio Tenco la scorsa settimana, vorrei sapere come ti è sembrato il festival come è andata...
Una cosa bellissima! Sono rimasta molto colpita dal fatto che qui esiste un festival che rende onore agli autori, non abbiamo niente di simile in America. E’ davvero un festival unico, rende omaggio ai cantautori e alle canzoni, indipendentemente da dove vengano. Ad esempio c’era un musicista della Repubblica Ceca, un vero talento. E per ogni canzone cantata in un’altra lingua era disponibile una traduzione sul video, molto bello, e i musicisti che partecipano sono davvero diversi fra loro. Ho incontrato Mauro Pagani (polistrumentista e compositore, ha lavorato con PFM, De Andrè, Nannini, Vecchioni, etc., ndr) con il quale abbiamo improvvisato una jam di violini, molto divertente. E’ stato un onore partecipare, mi sento fortunata di esserci stata e ci tornerei volentieri.
Sul tuo sito web, la tua biografia finisce con questa frase: “la troverete la dove ha iniziato, dal vivo e per strada”. E’ una specie di tua filosofia oppure è il modo migliore che hai per stabilire un contatto diretto con il tuo pubblico e magari la migliore fonte di ispirazione?
Credo che sia proprio quello, più di ogni altra cosa. L’esperienza di viaggiare e suonare per gente soprattutto in paesi diversi, ti da così tanto materiale per scrivere canzoni e ti insegna anche tanto altro della vita. Ad esempio essere qui in Italia per due settimane, quasi una vacanza dove impari come vivono le persone, l’importanza che gli italiani danno all’amicizia, alla famiglia, al cibo!! E’ molto bello. Ad esempio in America le famiglie si allontanano un po’ perché si finisce per traslocare e andare lontano, il nostro paese è così grande, tanti vanno al college a migliaia di chilometri da casa... e quindi si perde un po’ di attaccamento e le famiglie si spargono. E poi nella scala delle priorità da noi il lavoro è la cosa più importante e tutto il resto viene dopo… E’ bello tornare a casa e portarsi dietro un pezzo di esperienza.
Tornando alla tua musica, e in particolare ai testi, ho preso una canzone tra le tue più conosciute, “Absence” che a un certo punto dice di un albero che sembra più forte quando le sue foglie cadono nella neve, è forse un modo di dire che per essere più forti a volte bisogna lasciarsi dietro qualcosa? E’ un pensiero che hai formulato per una tua esperienza personale?
Un aspetto del fatto di viaggiare è che devi allontanarti dalle persone che ami, passi un sacco di tempo per conto tuo, in alberghi, da solo, a volte è anche un po’ triste, ma questa canzone parla di stare da soli ed affrontare la cosa e trovare la forza essendo onesti con se stessi. In una relazione avuta tempo fa, abbiamo passato molto tempo separati e sembrava che stessimo meglio così rispetto a quando stavamo insieme, quindi è proprio una canzone sul fatto di stare da soli e di essere onesti con se stessi perché magari si è più forti così. A volte rimanere troppo aggrappati alle cose semplicemente non funziona, a volte bisogna lasciare andare e tornare a stare con se stessi.
La tua band solitamente come è composta?
Mah, è sempre diversa... dipende dal tipo di show, dal posto, dal pubblico. Spesso sono in duo con Luke come stasera, ma altrettante volte mi accompagna anche il basso e la batteria... Mi piace suonare in numero ridotto e fare così dei concerti più intimi, come stasera, è più facile stabilire un contatto con le persone. Stasera è stato bellissimo, è stato un modo davvero carino per chiudere il nostro tour italiano.
Programmi da domani?
Abbiamo un giorno libero per visitare Roma. Poi andremo a Parigi, a Bruge, per poi tornare a casa in Texas.
SETLIST:
Absence 50’s French Movie I don’t want to play house anymore Got your name on it Lake Harriet Seven Angels on a Bicycle When I heard gipsy Davy Sing She Ain’t Me Today I Started Loving You Again I Cry For Love Never Gonna Be Your Bride La Punalada Trapera (di Eva Garza) Unwed Fathers
Articolo del
17/11/2011 -
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