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Finisce nei corridoi dei camerini del Lanificio 159 con Matthew Didemus, tastierista dei Junior Boys, che mi riassume la scaletta su uno scontrino del ristorante e con pochissima voglia di parlare.
La seconda apparizione romana di sempre del duo canadese, dopo il concerto al Circolo degli Artisti del 2007, arriva a pochi mesi dall’uscita di It’s All True, l’ultima creatura elettronica che segna un’ulteriore svolta verso atmosfere sempre più eteree rispetto agli eccellenti primi due album. Jeremy Greenspan e Matthew Didemus badano al sodo, hanno una line-up essenziale e sopperiscono ad una presenza scenica prossima allo zero con una sensibilità non comune e uno stile inconfondibile. Il nuovo corso dei Junior Boys risente, in maniera pesante, della scelta di Greenspan di comporre i brani dell’album durante un lungo viaggio in Cina, con tappa a Shangai.
C’è uno stacco evidente tra l’elettro pop degli esordi e le atmosfere esotiche, a tratti introverse e cupe, del nuovo disco. L’apertura con Parallel Lines, singolo tratto dal loro terzo album, è una specie di biglietto da visita dell’intero concerto, fortemente improntato ad una versione Junior Boys più intima, apparentemente leggera, sicuramente distante dalla verve ansiosa degli esordi. Mischiando il vecchio e il nuovo, nello scorrere dell’esibizione romana del duo canadese, si intuisce un’evoluzione piuttosto curiosa della loro musica: Itchy Fingers, A Truly Happy Ending, You’ll Improve Me e Banana Ripple sono la spina dorsale del nuovo album targato Junior Boys che sembrano spingersi sempre di più verso un modello Caribou, strizzando l’occhio ad atmosfere degne della migliore tradizione disco.
Un concerto a due facce, quasi a scalini, tra lunghi momenti di elettronica pura e sbalzi improvvisi conditi da alcuni dei successi del primo periodo del gruppo. Count Souvenirs, Double Shadow e In The Morning sono il marchio di fabbrica memorabile di quei primi due album che hanno fatto innamorare prima la critica e poi il pubblico di questo curioso ensamble canadese. Jeremy Greenspan, cantante tuttofare, è encomiabile nel suo tentativo di dare una dimensione live dei Junior Boys. Visibilmente affaticato, e anche un po’ in sovrappeso, Jeremy conclude sulle note di Banana Ripple con una specie di danza liberatoria.
Nessun effetto speciale, solo bits e creatività allo stato puro, con atmosfere e provocazioni che appagano gli appetiti più esigenti e raffinati di un pubblico compiaciuto che si è fatto trasportare in una caleidoscopio di immagini e di suoni degni di una elettronica futurista
(foto di Antonella Peschechera)
Articolo del
03/12/2011 -
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