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Doveva essere l’ultima delle tre serate del suo Decadancing Tour a Roma: una data aggiunta alle due precedenti perché queste erano andate sold out da subito. Invece la neve romana ha invertito il calendario, trasformando quella del 9 marzo nella data d’esordio sul palcoscenico dell’Auditorium della Conciliazione (le due precedenti sono state spostate al 14-15 marzo).
Cosi, introdotto dalla voce fuori campo che conduce lo spettatore in quell’affascinante via della seta percorsa da Marco Polo, ha inizio il viaggio. Dall’Estremo Oriente dell’introduzione a Viaggiatori d’Occidente, canzone di apertura con la quale Fossati scalda band e pubblico: pezzo bellissimo, del 1984, dal ritmo sostenuto, a cui segue Ventilazione, sempre del 1984. Ma ora occorre presentarsi, e dire almeno qualche breve parola a questo suo pubblico che lo segue da sempre: "Non so se vi è capitato, in questi ultimi anni, di percepire una certa decadenza... A me si!" Chi potrebbe contraddirlo: parte La decadenza, ed immediatamente dopo, in un ideale proseguimento di analisi di questi anni segue Quello che manca al mondo. Probabilmente è in queste due canzoni, entrambi del suo ultimo album, che sono racchiuse le motivazioni dell’artista che spiegano la decisione di abbandonare la sua produzione artistica (continuerà a scrivere per altri, cosi ha promesso). Intorno a noi c’è un degrado umano, culturale, ambientale: una decadenza difficile da raccontare persino per gli artisti. Oggi sono altri, piccoli uomini, a parlare, ad urlare, a mentire con l’arroganza di essere creduti; ed allora quello che manca al mondo è un poco di silenzio, che permetterebbe a tutti di riflettere di più per capire dove stiamo andando; e quello che mancherà domani è un monumento all'uguaglianza, visto che quello che stiamo vivendo oggi è un mondo caratterizzato dalle profonde e crescenti disuguaglianze. E se si pensa alla ragazza irachena di Stella benigna, di cui si racconta nel successivo pezzo, fuggita dal suo paese vittima di una violenza familiare ed una cultura maschilista che voleva imprigionarne i suoi sogni e le sue capacità, si capisce quali e quante sono le disuguaglianze nel mondo.
A questo punto il concerto sembrerebbe aver preso una impronta prevalentemente rock, con ritmo sostenuto e musica inncalzante a far da vistosa cornice ai testi di spessore sempre elevato. Ma la complessità artistica del cantautore genovese non lo può relegare dentro una restringente etichetta. Cosi ai pezzi rock si alternano pezzi suonati con il solo pianoforte e violoncello, dove è chiaro che le parole devono essere poesie per sostenere un certo ritmo: e un artista che ha scritto oltre 350 canzoni nel suo immenso repertorio ha da scegliere. Così si prosegue con Settembre, Lindbergh, la meravigliosa Mio fratello che guardi il mondo, pezzo del 1992 che sembra scritto oggi per descrivere quei flussi migratori dei nostri fratelli che provengono dalle aree disagiate del pianeta e che ci ostiniamo a guardare con sospetto se non con odio. Poi L'amore fa, Ho sognato una strada, Cara democrazia, altra metafora profonda su una forma di governo che sembra sempre più svuotata dei suoi significati originali, e poi Il disertore prima della pausa.
Una prima parte dunque che non tradisce le aspettative, ma la seconda salirà ancor più di tono e di coinvolgimento: si riprende con La crisi: altro pezzo datato (1979) che sembra scritto oggi ("mamma qui tutto bene, solo c'è la crisi e non ce la facciamo più"); poi Amore trasparente, L'orologio americano, Carte da decifrare, e poi La musica che gira intorno prima della divertente presentazione dei musicisti. L'artista spiega le due anime della band: la parte che si trova alla sua destra, composta da basso, chitarra elettrica e batteria, alla sua domanda su quale sarebbe stata la loro naturale vocazione musicale se non avessero suonato con lui, risponde con l'attacco micidiale di Whola Lotta Love dei Led Zeppelin. Anima ultra-rock, dunque. La parte alla sua sinistra, composta invece da chitarra classica, violoncello e pianoforte risponde con note classiche di Bach. Anima colta, dunque. E in mezzo c'è lui, quel cantautore genovese che per tutti i lunghi anni della sua carriera artistica ha rappresentato la giusta sintesi tra queste due anime musicali.
Si riparte: Tutto questo futuro, C'è tempo , Di tanto amore prima della bellissima I treni a vapore, prestata nel tempo a Fiorella Mannoia che ne è stata degna interprete. Fine seconda parte, ma si ricomincia subito con i bis: ed allora partono le note di Notte italiana, una delle più belle canzoni di sempre. Poi La pianta del tè e a seguire La costruzione di un amore. Sono trascorse oltre due ore, ma Fossati non si risparmia: regala ancora Il bacio sulla bocca, prima di chiudere con Buontempo. "Forse non si sta fermi un momento".... ed infatti il pubblico è ormai tutto in piedi: balla, batte le mani ritmando la canzone. Si accendono le luci e quel pubblico è tutto per lui, ad applaudire sapendo che questo stavolta non è un arrivederci, ma è un addio.
Tutti in piedi, senza schiamazzi o urla o gesti da patetico divismo: perchè è cosi che si fa, di fronte ad un grande artista: ci si alza in piedi, si applaude come forma di ringraziamento per le emozioni che quell'artista ci ha regalato, lo si saluta. E poi si sta in silenzio, almeno per un pò: a riflettere, a fare un pò più nostre le sue parole mai banali, che hanno bisogno del giusto tempo per scavare le nostre corazze più superficiali e penetrare nelle nostre coscenze. E' questo che quel cantautore genovese ci chiederebbe di fare, ed è questo che facciamo.
Articolo del
12/03/2012 -
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