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(SEGUE DA EPISODIO 2)
Venerdì 23 marzo – ore 19:00
Devo assumere zuccheri, altrimenti prima del concerto mi viene un collasso... E’ da mercoledì che dormirò sì e no tre ore a notte, la mattina devo alzarmi alle 7 e le mie notti brave in giro con le rockstar non possono comunque farmi venir meno agli impegni quotidiani. Arranco ma resto in piedi. Mi fermo a piazza Risorgimento così sono già vicinissimo all’Auditorium Conciliazione, entro in una nota creperie e ne chiedo una con la nutella, più un energy drink... “la merenda dei campioni”! Lo stratagemma funziona e mi avvio abbastanza ringalluzzito alla venue, dove incontro Penny e Rox. Con loro c’è anche un’amica, che si presenta come Janie J. Deduco che è una fan dei Clash, quindi una “a posto”. Ci avviamo alla cassa accrediti e diciamo che siamo nella guest-list, immediatamente ci danno quattro biglietti contrassegnati come “Poltronissima Gold” più gli adesivi/pass v.i.p. per l’aftershow, il livello di emozione è ai massimi storici e la mia mente vola alle parole di Bon Scott che nel pezzo Big Balls degli Ac/Dc cantava: “If your name is on the guest-list, no one can take you higher. Everybody says I've got great balls of fire...” ed effettivamente questi versi ci calzano a pennello! Riconosco di sfuggita anche il cantante dei Teenage Wasteland, un ottimo tributo agli Who che ho avuto modo di ascoltare più volte, ma non faccio in tempo a salutarlo, siamo ansiosi di entrare e di prendere i nostri posti. Ci posizioniamo eccitatissimi sulle nostre poltrone, siamo eccitatissimi, Janie J. non sa come ringraziare le sue amiche per averla chiamata, Rox è intenta a far morire d’invidia tutti i suoi amici di Facebook, io e Penny pregustiamo la scaletta che inizierà di lì a pochissimo.
Via le luci, la band fa il suo ingresso, c’è grande fermento, tutti noi ci guardiamo con aria di soddisfazione ed eccitazione, ce l’abbiamo fatta! Gli occhi iniziano a diventare lucidi all’idea dei trascorsi dei giorni precedenti, realizziamo davvero cosa avevamo trascorso e soprattutto con chi. Le note dell’Overture che apre Tommy raccolgono tutti i riff, i giri ed i passaggi ricorrenti dei brani che andremo ad ascoltare, come una succosa anticipazione emotivamente incomparabile. Roger Daltrey si trova in penombra e si adopera in aggiunta alle percussioni con due tamburelli. It’s A Boy e 1921 però sono il vero inizio, come se l’Overture fosse stata l’anticamera del sogno che ora però è diventato autentico e palpabile. Le parti corali mi fanno venire in mente i Queen, storicamente molto più associati ai “coretti” per così dire. L’impatto è prorompente anche se, nonostante il bilanciamento dei suoni da parte del fonico sia ineccepibile, il volume in generale mi sembra troppo basso. Noto che le gerarchie chitarristiche vedono Frank Simes nelle vesti di solista, posizionato a destra (guardando il palco) davanti a Loren Gold, circondato dalle sue tastiere, mentre Simon Townshend ricopre le vesti del ritmico. Sinceramente non essendomi informato a intuito mi aspettavo il contrario, ovvero Simon solista, se non altro per una questione di “gradi familiari”. Ad ogni modo Townshend, con uno zuccotto nero che lo fa rassomigliare pericolosamente a The Edge degli U2, non è per nulla messo in ombra, essendo le ritmiche degli Who comunque molto intriganti ed essendo stati i pezzi arrangiati per essere eseguiti da due chitarre, che si intrecciano perfettamente. Amazing Journey è il simbolo di questa esperienza, se non altro per il titolo quanto mai ricorrente. I portentosi riff e assoli di Sparks prima e Eyesight To The Blind ci conducono al mio pezzo preferito, Christmas. L’esecuzione è più lenta di quella che ero abituato a sentire dai live degli anni d’oro, ma non importa, la carica è sempre quella, con il riff crescente ed i cori avvolgenti. Sono un pochino ingrato nei confronti di Simon quando intona la solenne parte di “Tommy can you hear me?” perché chiudo gli occhi ed immagino che a cantare sia Pete fino a “how can he be safe?”. Quando li riapro mi accorgo che sono bagnati da lacrime di gioia e commozione, sensazione della quale non mi vergogno affatto e che voglio condividere con Penny, seduta affianco a me, voltandomi a guardarla.
Arriviamo ad Acid Queen e Penny malignamente mi dice “Chissà se Roger la canterà nella versione di Tina Turner...” effettivamente forse non è il caso, sebbene Daltrey sia in un più che discreto stato di forma, che va oltre le mie più rosee aspettative per un 68enne coi suoi trascorsi, anche se ogni tanto accusa qualche colpo su alcuni acuti, quelli che per timbrica e stile lo hanno caratterizzato nella sua carriera e che sarebbero oggettivamente una bella gatta da pelare per qualsiasi cantante. Pinball Wizard è un altro colpo al cuore, anche in questo caso i miei occhi si bagnano, insieme alle orecchie, queste ultime però solo “metaforicamente” parlando... La sapiente e ponderata scelta dei musicisti, insieme al rodaggio dato dal lungo tour che la band sta affrontando, rende lo show perfetto nella sua esecuzione, si sarebbe potuto far meglio solo a livello di scenografia, se non altro con migliori luci e video.
Mentre ci avviamo alla conclusione della scaletta di Tommy io e Penny iniziamo ad interrogarci su quando sarà il momento in cui questo show, da splendido spettacolo si trasformi in un vero concerto rock, con la gente in piedi assiepata ai bordi del palco. Dopo We’re Not Gonna Take It avviene quello che aspettavamo con trepidazione, tutto il pubblico si alza, così balziamo in piedi anche noi e dalla decima fila corriamo verso il palco, naturalmente dal lato di Frank, il nostro eroe. Arrivo a toccare il palco ed a poggiarci i gomiti, mi volto e vedo Penny inghiottita da una mandria selvaggia di persone alla caccia del posto più vicino allo stage, così le tendo la mano, lei la afferra e la trascino affianco a me in prima fila, proprio di fronte alla pedaliera ed al microfono di Frank, che ci vede e ci sorride raggiante. E’ il momento della scaletta con i super-classiconi, molti me li ero fatti anticipare mercoledì da Frank e Loren, sebbene da quel punto di vista il “fattore sorpresa” fosse stato azzerato, il brivido di sentire l’intro di un pezzo degli Who rimane in ogni caso qualcosa di incontrollabile. Specialmente se la prima della serie è I Can See For Miles, che Frank introduce imitando le celebri mosse di Pete Townshend, che ormai non rimpiango più. E’ una canzone che conosco a memoria, ma mi sembra di sentirla per la prima volta, trascinato dal suo ritornello gioioso, saltando a ritmo insieme a Penny come se fossimo nel 1967. Ora anche il volume è al punto giusto, ovvero quasi assordante, praticamente in alcuni momenti sentiamo quasi solo la chitarra di Frank, che ha alzato un tantino il volume del suo amplificatore. Segue The Kids Are Alright, il nostro brano, di Penny, di Rox, di Janie J. e mio, con Frank che viene a suonare tutti gli assoli davanti a noi, ci regala i plettri e Loren che ci sorride, indicandoci e salutandoci dalla sua postazione. Sfido chiunque a trovare qualcuno più “alright” di noi!
Boato assordante fin dalle primissime note, che poi si quieta nel più religioso dei silenzi per Behind Blue Eyes. La poesia delle parole intonate da Roger Daltrey, insieme al surreale climax musicale raggiunto, colpisce come un uragano anche me e Penny, che si copre gli occhi con le mani. Vorrei fare qualcosa di bello, ma non so bene cosa, appena il suo viso riemerge, senza dire nulla incrocio le mie dita con le sue e le tengo la mano. Arriva il momento di gloria di Simon Townshend, a cui Roger lascia palco e luci della ribalta per eseguire la sua The Way It Is, molto apprezzata dal pubblico. Ritorna Roger, ritornano gli Who, con Pictures Of Lily, altro grandissimo classico, preludio a Days Of Light, dalla produzione solista di Daltrey, così come Without Your Love, che eseguirà con l’ukulele come penultimo brano in scaletta. Prima però Roger & Co. calano il poker: Who Are You, My Generation, Young Man Blues e Baba O’Riley. Non serve “investigare” per intuire che il primo della serie è con ogni probabilità il pezzo più conosciuto dal pubblico presente, quindi accolto con grande giubilo e partecipazione. Quello che invece mi sarei aspettato come il brano da “scatenate l’inferno”, ovvero My Generation, viene eseguito in acustico e mi lascia inizialmente interdetto. Dopo aver familiarizzato con questa versione inattesa inizio a cantarla in maniera convinta, è pur sempre My Generation degli Who, mica “Ai se eu, te prego”...! E’ la volta di Young Man Blues, cover di Mose Allison, che però ormai fa parte già da decine e decine di anni del repertorio degli Who. Quando parte l’intro di Baba O’Riley è un altro urlo unanime della folla di fan di vecchio e nuovo corso. Penny, io, Janie J e Rox urliamo il nome di Loren alle tastiere, è il suo momento. Ormai sono entrato in un vortice di benessere totale, rivivo insieme tutte le emozioni di questi giorni, sono accompagnate e scandite dalla musica che più amo, manca solo una cosa... sento Penny accanto a me che cerca di beccare l’attacco della chitarra contando fino a tre ma inizialmente sbaglia. Lei è lì insieme alla musica, è tutto perfetto, non ragiono nemmeno nell’ottica di “provarci”, quello che sento è un impulso che fatico a trattenere, mi serve solo una piccola spinta, un segno qualsiasi. Le chiedo di rifarlo: “Conta nuovamente fino a tre...” e Penny: “Uno, due, tre...” così avvicino le mie labbra alle sue. Lei si tira indietro. Non so che pensare, quindi non penso a niente, però pochi secondi dopo è lei ad avvicinarsi e a baciarmi. Per un secondo. Sulle labbra. Come il più elettrizzante dei fulmini a ciel sereno. Sorrido anche io. Non c’è tempo di pensare a nulla, l’atmosfera è pregna di musica e concitazione quando tutti quanti intoniamo in coro “don’t cry, don’t raise your eye, it’s only teenage wasteland...” e così via fino “...and I’m wasted!” momento in cui Roger porta alla bocca la sua armonica per il favoloso tappeto finale della canzone. La chiusura dello spettacolo avviene con Naked Eye, una vera chicca, tratta dall’album di b-side e rarità Odds & Sods. La nostra notte però non si conclude certo qui...
Quando l’ultima nota finisce di ronzarmi nelle orecchie riesco finalmente a convincermi che tutto questo è successo realmente, così mi avvio insieme alle ragazze all’estremità sinistra del palco per passare dall’altra parte della barricata. Ci sono tante altre persone con il pass come il nostro, almeno venticinque o trenta. Ci facciamo strada ed arriviamo in un punto dove ci controllano ulteriormente, pochi metri ci separano da backstage e camerini, sembra che non ci siano problemi, invece ci sbagliamo. Il backstage dell’Auditorium Conciliazione consiste in un corridoio non troppo lungo, contornato da tante stanze, i camerini, la sala catering, ecc... come farà ad entrarci tutta questa gente?! E’ quello che si chiede l’organizzatore del concerto, che rivolge la medesima domanda al tour manager della band, che pronuncia la sua sentenza: devono uscire tutti, anche se hanno il pass! Non so perché ma avevo fiutato questo pericolo, così faccio in modo di stare più vicino possibile all’entrata del backstage, con ragazze al seguito, mentre retrocediamo più lentamente possibile il manager della band mi chiede da chi siamo stati invitati, rispondo: “Loren and... Hey Frank!!! Great show! How are you?!” Frank provvidenzialmente passa di lì proprio in quel momento, ci saluta, ci abbraccia e fa cenno al tour manager che noi dobbiamo essere ammessi ad entrare perché siamo con lui. Quindi tutti fuori tranne noi... Non riusciamo a trattenere i sorrisi di soddisfazione ed appagamento... Penny poi ci mette il carico commentando “Sembrava la scena di Titanic quando sbarrano le porte della terza classe...” mettendo una ciliegina di gustosissima malignità sulla torta. Quello che succede di lì in avanti è difficile da raccontare con naturalezza e disinvoltura, come quella di Frank quando mi chiama per presentarmi un anziano signore accanto a lui dicendo: “Hey Nick, he’s Led Zeppelin’s manager Bill Curbishley...” Cosa?!? Oh Cristo... Eh... sì... Il piacere è sicuramente mio...! Penny da grandissima fan degli Zeppelin si intrattiene con lui a parlare, io invece mi imbatto in un altro personaggio: Simon Townshend! Frank mi aveva offerto una birra, che avevo in mano e stavo bevendo, ma questo a Simon non interessa, lui vuole che beva il vino! Ci facciamo un paio di bicchieri e iniziamo a chiacchierare, Janie J. è visibilmente rapita ed affascinata dal buon Simon che ha da ridere e scherzare con tutti. Molti dei musicisti si intrattengono con un altro ospite speciale, è Omar Hakim, definito da Simon come il miglior batterista del mondo, uno che nella sua carriera, tra le varie cose, ha inciso le parti di batteria nell’album Brothers In Arms dei Dire Straits e suonato in tour con artisti del prestigio di Sting, David Bowie, Miles Davis, Brian Ferry, Madonna e tanti altri. L’atmosfera è distesa, siamo amici di tutti, il tour manager di Roger, che non ci scruta più con aria circospetta, anzi passandomi davanti mi chiede ridacchiando se fosse un segno di rossetto quello che avevo sulle labbra, balbetto qualcosa e lui mi da una pacca sulla spalla. Continuiamo a bere insieme a Simon e a divertirci, c’è anche Frank, che al momento della chiamata per prendere il minibus (che dovremmo ribattezzare Magic Bus per rimanere in tema, quello che avevamo inseguito mercoledì da cui è partito tutto) comunica al tour manager che sarebbe tornato per conto suo, insieme a noi. Così ci intratteniamo un altro po’ nei camerini, per poi prenderci una bottiglia di Morellino di Scansano come souvenir e avviarci verso l’hotel. E Roger? Personalmente non ci interessa più di tanto, per lui saremmo solo una goccia nell’oceano di fan adulatori che incontra ogni giorno, noi invece siamo troppo contenti ed onorati di aver conosciuto una persona eccezionale come Frank. Nell’hotel si parla del più e del meno ormai, come vecchi amici, bevendo il vino, mentre Frank ci strabilia con giochi di prestigio con le carte... ebbene sì... è anche una specie di mago!
Quando le palpebre di tutti iniziano ad appesantirsi capiamo che è il momento dei saluti. Ci fumiamo l’ultima sigaretta, ci facciamo l’ultima foto, ci sono tante “ultime” cose ed a tal proposito pongo una domanda a Frank, della quale temo già di conoscere la triste risposta. Gli chiedo se qualora, come mi aveva anticipato mercoledì notte, il tour di Quadrophenia nel 2013 dovesse effettivamente partire con Pete Townshend, questo precluderà la sua partecipazione. Invece, per la gioia di tutti, Frank ci dice non solo che alcune partiture saranno strutturate per la coabitazione sul palco di tre chitarristi (quindi lui, Pete e Simon), ma anche che gode di una grandissima stima da parte di Pete, il quale vuole che Frank faccia assolutamente parte del progetto. Questo significa che quello ipotizzato come un triste addio si trasforma in un felice arrivederci, ancora una volta tra palco, hotel, camerini e vino rosso. Qualora poi volessimo andarlo a trovare a Los Angeles si offre anche di ricambiare il favore di “ciceronaggio” in giro per la città. Da parte nostra non possiamo che rispondergli che qualora gli tornasse un’irrefrenabile voglia di pasta all’amatriciana sa dove trovarci!
(FINE...?)
Articolo del
29/03/2012 -
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