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Serata sui generis in zona Prenestina la sera del primo Aprile. I concerti alla domenica sono quasi sempre un’incognita, riusciranno i più a vincere la stanchezza post venerdì e sabato? Oppure l’avrà vinta il divano di casa featuring il posticipo di serie A? I primi aggiornamenti danno il divano in netto vantaggio, infatti l’esibizione dei Wildmen, duo garage-punk dalla spiccata attitudine “white stripesiana”, saranno davvero in pochi a raccontarla.
Irrompe nella venue il van delle Dum Dum Girls ed il pubblico, abbastanza assortito tra varie sfumature di hipsters, inizia a materializzarsi. Il quartetto, capitanato da Dee-Dee Penny alla voce ed alla chitarra ritmica, fa il suo ingresso on stage, il colpo d’occhio è semplice ma di impatto, quattro ragazze vestite di nero, chi con abiti più succinti chi meno, armate di strumenti e pronte a far fuoco. I tre quarti della band, formato da ragazze di inequivocabili origini asiatiche, avranno sicuramente riportato alla memoria di tutti gli aficionados di Quentin Tarantino (e di Kill Bill Vol.1 in particolare) la scena all’izakaya La Casa delle Foglie Blu, che vedeva comparire la storica band femminile giapponese delle 5.6.7.8’s. Il paragone vale non solo per il look, ma anche per lo stile musicale. La batterista Sandy oltretutto ha anche una certa somiglianza con la folle Gogo, ma fortunatamente non si diletta con mazze ferrate e catene, è seduta sul suo sgabello e le mazzate le dà soltanto alle pelli dei tamburi. Una band stile Whiskey A Go-Go, come suggerisce la città sulla loro carta d’identità ed anche l’atteggiamento molto sicuro di sé, pezzi dai ritmi sia serrati che da moto ondulatorio, ma sempre quadrati e precisi, innaffiati dal vino rosso della chitarrista Jules e dal whiskey (appunto) della splendida bassista Malia.
La scaletta si apre subito con una piccola chicca, il brano estratto dall’omonimo E.P. uscito lo scorso anno He Gets Me High, caratterizzata da suoni garage e retrò, riverberi e ritmo martellante, che poi sono il tratto peculiare del “Dum Dum Sound”. Segue un’altra perla più primordiale, che risale al primissimo E.P. Yours Alone, già con i gradi del “classico”, trattasi di Catholicked, ispirata da Patti Smith, ma la cui strofa suona molto simile alla celebre Walking On Sunshine di Katrina And The Waves. A proposito di “waves”, scandita da una batteria tipicamente surf, si inizia ad entrare nel vivo con I Will Be, che dava il titolo anche al primo vero album di esordio delle quattro donzelle. Wasted Away è il primo pezzo della setlist tratto finalmente dall’ultima fatica Only In Dreams, titolo citato anche nel testo del pezzo stesso. Si denota la leggera esplorazione di sound, strizzando l’occhio anche a sonorità new wave o comunque più 80’s, così come nella successiva Rest Of Our Lives, che rende un minimo più variegato il sound delle Dum Dum. Arriva il momento del singolone, Bedroom Eyes, che per quanto sia avvolgente ed allegro non sembra far esplodere il pubblico, attento ma anche molto sulle sue, così come le ragazze del resto, che non sono certo delle chiacchierone, è tutto molto underground ed alla fine ci sta che sia così. I pezzi iniziano inesorabilmente ad assomigliarsi tutti, dalle solari e spensierate Bhang Bhang a Jail La La, fino a Hold Your Hand, che invece assume maggiormente i tratti di una ballata romantica.
Il finale riserva una sorpresa che saranno stati in pochi a cogliere, un brano inedito che le Dum Dum stanno testando dal vivo nel corso del tour e chiamato I Got Nothing, che riprende ancora una volta il filone di brani di marcata influenza Ronettes e simili, ma come gli altri si lascia ascoltare con piacere. L’ultimo atto è una cover, che però non è There Is A Light That Never Goes Out, contenuta nel sopraccitato ultimo E.P.. Il pezzo degli Smiths, bramato dai tanti hipster col doppio taglio presenti al Traffic, viene sostituito da un’altra rivisitazione, provienente invece dalla produzione dei Pale Saints, band shoegaze inglese attiva tra fine anni 80 e metà 90. Il brano si chiama Sight Of You, e racchiude un po’ di tutto, dalle distorsioni garage vintage, poggiate su un giro di basso ed una ritmica che creano un’atmosfera molto dream-pop.
Esibizione breve e godibile, fosse durata di più magari sarebbe stata “prolissa e ridondante”, questo è un dettaglio da curare, non tanto dal punto di vista dell’approccio sul palco (tante band fanno ballare le folle pur rimanendo impalati sul palco), bensì per quanto concerne la varietà del sound, che necessiterebbe di qualche schizzo di follia, come per esempio quelli delle Black Belles, che però non a caso sono prodotte da un certo Jack White, con tutti i benefit del caso.
(Nella foto: a sinistra di due Dum Dum Girls Lorenza Barone, che ci ha gentilmente concesso la foto, alla loro destra Nicholas Matteucci)
Articolo del
05/04/2012 -
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