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Venerdì Santo. Sì, per modo di dire... Anche se sta di fatto che tutti gli amanti dell’hard & heavy della capitale e non solo, come ad una tanto attesa omelia, si sono ritrovati puntuali ed agghindati di tutto punto davanti al palco del Traffic per dare il benvenuto a Roma ai Red Fang, band rivelazione della scena stoner americana.
Al Traffic ci sono tutti, vuoi anche per la sapiente scelta delle band di apertura (in particolare i Doom Raiser), assortite e valide, come hanno fatto notare gli stessi Red Fang una volta preso il palco. A vederli tutto si direbbe tranne che possano sembrare dei rocker, anzi, l’impulso ad associarli a ben più attinenti collocazioni sociali diventa talmente irresistibile che non posso non cimentarmi con il minimo sforzo dell’immaginazione. Il cantante e bassista Aaron Beam potrebbe tranquillamente essere un commesso stile Clerks di un negozio di noleggio DVD, di quelli nerd e saccenti. John Sherman, batterista, invece sono indeciso se collocarlo in una pompa di benzina o alla guida di un pullman. Gli altri due, i chitarristi stanno a loro modo molto più sul pezzo, Bryan Giles non mi sorprenderei se tra un concerto all’altro andasse alla ricerca del karma spaccando legna nei boschi, mentre David Sullivan sembra un avanzo di distilleria di whiskey semi-clandestina, con quella barba da redneck vero ed autentico che lo rende l’idolo della folla.
I quattro dell’Oregon sono accolti in maniera eccellente e non tradiscono le attese mettendo subito le cose in chiaro con il primo pezzo Reverse Thunder. Dire che i Red Fang siano un gruppo che “spazia fra i generi” fa strano, però nel loro piccolo lo fanno... o meglio “piccolo” nel senso che ad una prima occhiata (fino all’ultima) non danno mai l’idea di essere una band “tecnica” per così dire. Gli assoli sono pochi e semplici, c’è una valanga di riff, che vengono effettuati all’unisono da Bryan e David, che raramente si intrecciano o si fanno carico di un ruolo da solista o da ritmico a seconda del caso. Tuttavia la loro forza risiede nell’essere diretti, sono come un pugno in faccia, ti arriva e lo senti, quindi dopo non vai a pensare al movimento del gancio o dell’uppercut... hai preso un pugno e basta, devi starci. La partenza è decisamente improntata sull’aspetto più hard rock della band, però come già detto la band svaria, principalmente vira sullo stoner, con momenti più o meno veloci e martellanti, prevalgono quelli spediti.
Senza offesa per gli onestissimi Red Fang, ma dopo il loro concerto la sensazione che ho provato maggiormente è stata quella di non vedere l’ora di andare a vedere i Kyuss che saranno a Roma tra meno di un paio di mesi, nonostante tutto questo però può anche essere un complimento. E’ anche vero che per i motivi detti sopra questo non è nemmeno un gruppo al quale far notare il pelo nell’uovo, non hanno altra pretesa se non quella di far scatenare il pogo e far urlare i fan davanti a loro, quindi da questo punto di vista l’otto in pagella se lo meritano tutto. Il mood di baraonda non si limita ai soli singoli più conosciuti, bensì a tutta la durata del concerto. Sanno farsi amare e lo dimostra la “dichiarazione” che Aaron fa prima di eseguire Sharks: “Vi romperemo il culo...”. Delirio puro e gente che si abbraccia rovesciandosi birra addosso come a benedirsi a vicenda. L’esibizione scorre dritta e quadrata fino all’ultimo pezzo in scaletta che è Prehistoric Dog, ma c’è qualcosa che manca. Non passano neanche tre minuti che, acclamatissimi, i quattro dell’Oregon sono già tornati sul palco, mancano le ultime due cartucce, perché di questo si tratta, non di bis. Hanno tenuto il meglio per la fine, entrambi estratti dall’ultimo lavoro che li ha legittimamente consacrati, Murder The Mountains. Dalla doppietta dei Red Fang vengono sparate prima Hank Is Dead (e meno male... pensa se fosse stato vivo...) e poi il colpo di grazia con Throw Up, degna conclusione con finale in crescendo, quando il pezzo sembra essere concluso e chi non lo conosce abbassa la guardia...
Grave errore, perché è solo la quiete prima della della tempesta. Difficile dare un giudizio definitivo, non ci sono i presupposti per tracciare previsioni o dare indicazioni su dove questa band possa arrivare da qui a qualche anno, la loro dimensione è definita e piacciono a quelli a cui devono piacere, tra dieci anni potrebbero essere headliner al Gods Of Metal o, allo stesso tempo, essere morti affogati nel vomito in un locale underground come il Traffic, l’unica certezza è che, finché rimarranno così duri e puri, che davanti a loro ci siano trecento, tremila o trentamila persone, l’atmosfera sarà sempre la stessa.
Articolo del
10/04/2012 -
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