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Graziato da una piccola tregua, che il tempo ha concesso in questo martedì sera, il concerto dei Tinariwen si prospetta come una delle serate di punta dell’Auditorium Parco della Musica. Le aspettative, molto alte dopo l’uscita di Tassili, aumentano la tensione della band che nel frattempo ha visto la dipartita del leader Ibrahim Ag Alhabib, fuggito nella sua terra d’origine. Ma questo non può, né deve, fermare una band in piena forma e al top della creatività. Sul palco della Sala Sinopoli qualche amplificatore, due percussioni e qualche chitarra aspettano pazienti di prendere vita. Verso le 21.05 la solita voce degli speaker, del tutto ignorata, invita i presenti a spegnere telefoni cellulari e videocamere prima dello show. Qualche chiacchiera e qualche volto noto della scena di Roma e giù le luci: che lo show abbia inizio!
Loro entrano in punta di piedi, fasciati nei loro bellissimi abiti desertici, parlano un po’ d’italiano e molto francese, chiedono quasi imbarazzati se tutto sta andando bene e si sistemano dietro ai propri strumenti. Da qui in poi sarà tutto un misto di musica e coreografie, di blues e scale melodiche a cui non siamo abituati. Il loro canto è ipnotico, s’infila fra le carni regolandone il flusso sanguigno e il battito del cuore che aumenta o diminuisce in base al loro set ben congegnato. La prima parte dello show è contenuta, quasi monotematica, nessun forma di esibizionismo o artifici tecnici, è musica da contemplare, da respirare il suo ritmo vitale. Ma superata la prima mezzora il percussionista spinge a dovere alzando il tiro mentre la danza e i vocalizzi di Mina Walet Oumar riscaldano velocemente il pubblico che non si lascia pregare. Nel giro di pochi minuti in platea regna sovrana l’anarchia. Succede rare volte di vedere tanta libertà d’azione, nonostante i continui richiami della sicurezza la parte più scatenata, probabilmente una scolaresca, si produce in urla e coreografie ai lati del palco. Intanto a destra del palco la danza di Eyadou Ag Leche, sinuosa e ricca di gioia, catalizza l’attenzione del pubblico a ogni intervento. È un vero piacere vedere questa band sul palco, la capacità di fondere il blues con il Tishoumaren la rende davvero unica nel suo genere. Sono moltissimi gli inviti alla danza rivolti al pubblico e potenti le accelerazioni ritmiche da apnea che si stemperano nei tre pezzi più interessanti della serata, legati alla vera cultura del popolo di Tessalit, alle sue radici più profonde, le soluzioni armoniche a più voci risultano emozionanti, ricche di un fascino che da sempre i popoli stranieri esercitano.
Dopo più di un’ora e mezza la band ringrazia il pubblico romano entusiasta e attento a tutte le loro evoluzioni ritmiche, capace di interagire in scioltezza rispettando i tempi di questi sei musicisti che potrebbero avere ancora molte cose da dire. Per ora è tutto qui ma non crediate sia finita cosi, ne sentiremo parlare ancora, questo è certo.
Articolo del
21/04/2012 -
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