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“A Memphis si sono bevuti il cervello, oppure sono degli invidiosi...” è la prima cosa che penso durante Dio odia i tristi, pezzo di apertura nella serata all’Orion di Ciampino dei Bud Spencer Blues Explosion.
Andiamo per ordine. Questa considerazione l’ho maturata alla luce di come avevo lasciato i Bud l’ultima volta, al Lanificio di Roma, quando nell’intervista prima del concerto Adriano e Cesare mi dissero che erano pronti e carichi per partire alla volta degli States (Memphis appunto) per partecipare all’International Blues Challenge, supersfida tra svariate situazioni blues provenienti da tutto il mondo. Appresi che i BSBE erano usciti dalla contesa quasi subito e ritrovandomeli per l’ennesima volta davanti, come sempre al top, non riuscivo a darmi una spiegazione per questa cosa. Se non altro sono felice che Adriano e Cesare stiano diventando almeno profeti in patria alla stessa velocità dei riff di uno e delle rullate dell’altro. Riff a 200 all’ora, come per Mi sento come se, cui seguono Esci piano e Hamburger. Non riesco a capacitarmi di come ogni volta che vada a vedere questa band per quanto rimanga entusiasta riescano sempre a sembrarmi migliorati dalla volta precedente, l’aria americana e l’imminente tour europeo li avranno galvanizzati. Le cavalcate selvagge e gli intermezzi lenti ed ipnotici sono ormai una miscela perfetta, rodata e fluida, impreziosita ad ogni performance da quel genuino gusto di suonare tipico di chi ama quello che fa e che quindi non si adagia su delle esibizioni standard, bensì le arricchisce delle ispirazioni figlie del momento. Unione tra qualità, ricercatezza, tradizione e ritmi accattivanti, estasi per i cultori del genere e fomento per tutti, moglie ubriaca e botte piena. I ragazzi stanno decisamente sul pezzo e non potrebbe esserci momento migliore per fare quello che stanno facendo. Non posso non notare che Adriano Viterbini indossa la maglietta dei Black Keys, pensando che se gli eventi seguiranno il loro giusto percorso tra non molto sarebbe lecito ed onesto aspettarsi che, da qualche parte negli States, anche Daniel Auerbach salga su un palco con la maglietta dei BSBE.
Considerazioni estemporanee ed attestati di stima a parte, arriva il momento di Frigido, aggettivo che dì lì a poco rielaborerò, dopo l’esecuzione di Più del minimo, brano pazzesco, eseguito al massimo della sua possanza, così come è registrato sul disco (esiste anche una versione più lenta che, per quanto abbia il fascino della diversità, non preferirei però mai all’originale). Dark Was The Night mi fa riprendere fiato, facendomi respirare aria di Mississippi e dintorni, in questo caso più dintorni, perchè Blind Willie Johnson, autore originale di questo brano, era del Texas. E’ la prima delle tre cover che fanno fare alla setlist quell’ulteriore salto di qualità, qualora ce ne fosse stato il bisogno, in termini di credibilità, quella di chi sa di cosa si parla quando l’argomento è il blues e che per i Bud è qualcosa di assodato ed innegabile. Purtroppo non avranno mai la credibilità data dal certificato di nascita, come se fosse un peccato originale per il quale non c’è cover ricercata che possa fungere da battesimo. Eppure non mi spiego un tale smacco all’I.B.C., penso che magari sia come se in una gara di bucatini all’amatriciana a Roma arrivasse un americano che li sa fare davvero squisiti, ma per quanto bravo nessuno lo decreterebbe mai il migliore. Mentre rifletto su tutte queste possibilità e tesi ai limiti del complottismo patriottico mi godo Giocattoli, quindi l’acclamatissima Hey Boy Hey Girl, talmente diventata parte integrante, per come è stata riadattata, dello stile dei Bud che nemmeno mi sento di considerarla più una cover. Ecco che mi torna in testa il concetto di “frigido” a cui pensavo prima, al termine di Hey Boy Hey Girl, così chiedo al tipo accanto a me, con una felpa verde con la scritta “I don’t care” perché ai concerti dei Bud la gente non faccia casino. Il pubblico in realtà non è freddo, si sente alla fine dei pezzi che tutti sono entusiasti, però nessuno salta o poga... e la risposta è presto detta: “Perché non riesci a staccargli gli occhi di dosso, sono ipnotici, che guardi uno o l’altro, è lo stesso! Ti’ intrippi’ e non riesci fare altro...” che in effetti è quello che faccio anche io. Almeno un dubbio me lo sono tolto.
Breve pausa, intermezzo del solo Adriano alla chitarra, appena Cesare si risiede sul suo sgabello parte Rottami, parla di Mississippi e di eroi, le dita viaggiano sul manico della chitarra come un treno ad alta velocità per poi rallentare e godersi il piacere di quella splendida ballad che è Mi addormenterò. Il finale è appunto dedicato ad altri due eroi, Jimi Hendrix con una più che degna esecuzione di Voodoo Chile ed infine una graditissima new entry del repertorio, Special Rider Blues, dalla prestigiosa collezione “delta” di Skip James, quasi 10 minuti di atmosfera surreale che poi esplode incontrastata fino al momento dei saluti e del “grazie a tutti e a presto”.
Un'altra grande prova dei BSBE, sempre più realtà di rilievo del panorama musicale nazionale. Resta solo una cosa da fare, andare a fare i complimenti ai ragazzi, così appena ho modo di incontrare Adriano l’occhio mi cade subito sulla maglietta, che nel frattempo aveva cambiato, ora è quella della Third Man Records, presa in quel di Nashville. Se Jack White sapesse della loro esistenza non potrebbe rimanere indifferente, è la prima cosa cosa che mi passa per la mente. Gli chiedo se durante il pellegrinaggio nella sede dell’etichetta di White Adriano gli avesse lasciato almeno un CD. La risposta dice tutto e niente: “Ci ho lasciato il cuore...”, non sarebbe potuto essere altrimenti. Sono convinto che tutta questa purezza troverà il giusto corrispettivo prima o dopo, ma già che ci sono gli chiedo anche cosa sia andato storto all’I.B.C. nessuno meglio di Adriano saprebbe dirmelo. Scopro così che il concorso di fatto era molto più improntato sul blues tradizionale, quindi per quanto le radici e l’ispirazione dei Bud appartengano a quelle sonorità, la modernizzazione dei pezzi ha di fatto reso la loro partecipazione forse quasi fuori luogo, fermo restando che la band ha ricevuto anche molti feedback positivi, a rendere l’esperienza e la full immersion nei luoghi dove tutto è cominciato non solo affascinante, ma anche propositiva. A buon rendere allora!
Articolo del
24/04/2012 -
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