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C’era molta attesa per l’unica data italiana di Daniel Johnston, folksinger americano, originario della California, dove è nato 51 anni fa, ma residente da diverso tempo ormai a Waller, in Texas. Artista di culto, simbolo del lo fi e della musica indipendente negli anni Novanta, Daniel non è - e non potrebbe essere - un musicista vero, nel senso tradizionale del termine. Soffre da tempo di gravi problemi psichici, che lo hanno portato prima ad una forma di depressione maniacale che poi ha dato origine alla malattia bipolare. Daniel Johnston non sa suonare, nel senso stretto del termine, ciò nonostante scrive e canta canzoni. Ne ha scritte tante fin qui, alcune delle quali bellissime, accompagnandosi in maniera molto semplice ora alla chitarra ora all’organetto. E’ questo il vero miracolo, è per questo che artisti come Kurt Cobain dei Nirvana, i Pavement, Beck, Tom Waits e - più recentemente - Yo La Tengo hanno collaborato con lui o eseguito cover delle sue canzoni. Daniel Johnston possiede il dono della musica, la sua unica vera passione - insieme ai fumetti della Marvel (Capitan America su tutti). Si è fatto conoscere regalando in giro i demo-tapes con le sue canzoni e improvvisando concerti non autorizzati , in strada o in locali pubblici. Il suo modo di cantare, la poetica tipicamente naive delle sue liriche, hanno dato un senso alle sue esecuzioni, un fiume di semplicità e di purezza d’animo all’interno di un Oceano di fenomeni creati a tavolino, dati in mano a produttori senza scrupoli. Il suo primo album, intitolato Hi, How Are You?, è diventato un caso discografico e lui stesso ha contribuito non poco a farsi conoscere tappezzando i muri della sua città con il logo della rana stilizzata che ti saluta e ti chiede “come stai?”. E’ il suo disegno più noto, ma ne ha fatti tanti altri, oltre quelli che compaiono sulle copertine dei suoi dischi e - non appena entriamo al Piper – possiamo vederne molti, raccolti sul tavolo del merchandising. La maglietta bianca con la rana va a ruba, mentre mi soffermo sui disegni in cui viene raffigurato il Diavolo, origine del Male, che viene combattuto con ostinazione e fermezza. Daniel Johnston viene da una famiglia cristiano evangelica metodista, si è formato sulla Bibbia, fonte di ispirazione di alcune sue canzoni e sembra che abbia addirittura rifiutato l’accordo con una casa discografica perché era la stessa con cui incidevano i Metallica, visti come seguaci di Satana.
Ma veniamo al concerto di questa sera: Daniel si presenta da solo sul palco, in un’atmosfera che diventa subito molto intima e raccolta, grazie anche alle prime note di alcune sue prime registrazioni come Lost In My Infinite Memory e There’s A Sense Of Humour Way Beyond Our Friendship. Da un po’ di tempo Daniel ha imparato a tenere sotto controllo la sua malattia, è un po’ incerto sulle gambe, a volte la sua voce ed il suo braccio sinistro sono tremolanti, ma niente ci impedisce di cogliere il candore estremo di versi come “I love you all/ but I hate myself” oppure “I’ll never fall in love again /it’s a sin/ and I can’t win”. Le melodie sono semplici ma assolutamente in linea con la grande tradizione folk degli U.S.A. Dopo appena dieci minuti però viene raggiunto sul palco da Fabrizio Cammarata And the Second Grace da Palermo, la band che aveva aperto il suo concerto e che lo accompagnerà per i restanti 50 minuti dello show. Questi giovani musicisti sono venuti tre giorni prima a Roma per provare con lui le canzoni che sarebbero state inserite nella setlist e il concerto assume un altro aspetto: sicuramente più energetico e vibrante, sul piano dell’intrattenimento, però viene a mancare il gusto di quelle sue esecuzioni live solo, che davano forse una idea più completa della persona Daniel Johnston.
Okay, si privilegia la musica, e va bene anche così, perché questi ragazzi ci sanno fare e si vede che sono orgogliosi di essere con lui sul palco del Piper. Daniel abbandona la sua chitarra e si aggrappa con forza al microfono: sono bellissime le interpretazioni di Fish e di Don’t Let The Sun Go Down On Your Grievances. Divertente e molto gustosa l’esecuzione di The Beatles da Lost And Found del 2006, doveroso omaggio al gruppo che Daniel ha sempre amato oltre misura: “And I really wanted to be like him (riferendosi a John Lennon) / God bless them for what they’ve done”. Splendide le versioni di Speeding Motorcycle e di Rock And Roll / EGA, con quel quanto mai significativo “Rock and roll saved my soul” ripetuto quasi con devozione mistica.
La serata è breve, nessuna sorpresa: non ci aspettavamo il contrario. Ma, invocato a gran voce dal pubblico che ha giustamente riempito il Piper, Daniel Johnston ritorna sul palco - questa volta senza i musicisti di supporto - ed esegue altri due suoi “early recordings” come Devil Town e True Love Will Find You In The End, bellissima quest’ultima, un pezzo davvero struggente, pieno di speranza, di fiducia nell’amore, malgrado le delusioni che lui stesso ha ricevuto in passato. L’esecuzione di True Love chiude una sera speciale, a tratti commovente, in particolare per l’incontro con questo artista vero, che vive chiuso nel suo mondo, fatto di spiritualità, di musica e dei suoi disegni, che sono quelli di un uomo rimasto bambino, ma che riesce comunque ad andare oltre la malattia, oltre il disagio fisico e mentale, e ci regala squisite folk ballads che non dimenticheremo facilmente.
SETLIST:
Lost In My Infinite Memory There’s A Sense Of Humour Way Beyond Our Friendship Fish Casper The Beatles Love Not Dead Don’t Let The Sun Go Down On Your Grievances Mountain Top Speeding Motorcycle Don’t Pass Me By Life In Vain Rock’n’Roll/EGA
Encore:
Devil Town True Love Will Find A Way in The End
(La foto di Daniel Johnston sul palco del Piper è di Eugenio Corsetti)
Articolo del
30/04/2012 -
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