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Non si tratta di un concerto qualsiasi. Chi si trova qui questa sera sa bene che cosa l’aspetta, sa bene cosa deve fare. Immaginate di andare oltre l’intrattenimento, provate per una volta a non tenere conto della scena indie, delle etichette discografiche indipendenti o delle major, o ancora dello showbiz più in generale. Questa sera non siamo qui ad ascoltare musica. No, è diverso. Ci troviamo qui per un appuntamento importante: l’incontro con Michael Gira, musicista e produttore geniale, maniacale e ossessivo come pochi, colui che nel 1979 ha messo insieme una band come gli Swans, protagonisti assoluti, innovativi ed estremi della “No Wave” americana, e che poi ha proseguito il percorso con una nuova creatura artistica nel 1997 con The Angels Of Light, una band ugualmente sperimentale, ma che si esprime con modalità meno fragorose e oltranziste.
Qualche tempo fa, 14 anni dopo il loro scioglimento, Michael Gira ha rimesso insieme gli Swans, ha registrato un nuovo disco, il sorprendente My Father Willl Gude Me Up A Rope To The Sky, un album tanto bello da andare oltre ogni aspettativa, e si è esibito con loro al Circolo degli Artisti nel dicembre 2010. Eravamo a quel concerto: una serata devastante, bordate di chitarre elettriche, sonorità devastanti, urla che facevano ghiacciare il sangue di quanti si trovavano fra il pubblico, una aggressività più psichica che concreta, questo sì, ma un’esperienza comunque violenta. Sappiamo bene però che Michael Gira non è soltanto questo, non è solo Swans, e per questa sera non è neanche Angels Of Light. Il suo è un live act acustico in solitario, anche se prima di lui si esibisce Cristoph Hahn, chitarrista sia degli Angels Of Light che dell’ultima edizione degli Swans. L’opening act è molto interessante, con due belle cover tratte dal repertorio di John Cale come Dying On The Vine e Heartbreak Hotel (che poi è di Elvis, ma neanche completamente sua).
Ma l’attesa è tutta per Michael, che si aggira all’interno della Locanda Atlantide con una giacca chiara, piuttosto elegante, e con il suo cappello da cowboy. Intorno alle 23,30 Michael Gira si presenta sul palco in perfetta solitudine e si accomoda su una sedia. E’ accompagnato soltanto dalla sua fedele Guild, lo stesso tipo di chitarra acustica che usava Johnny Cash, il padre della musica folk americana. Il suo sguardo fissa il pubblico, lo vede distante, chiede allora di avvicinarsi. E’ più contento, si concentra, chiude gli occhi e comincia a suonare. Riconosciamo le note di Jim, il brano che apre I Am Not Insane, il suo ultimo album solo, ma che trovate anche sull’ultimo disco degli Swans. Non è una sorpresa: a Michael piace mischiare le carte, presentare versioni diverse degli stessi brani, tutti sotto l’egida della Young God Records, che poi è la sua casa discografica. Sorprende invece la voce: mai così evocativa e potente nel cantare la decadenza della civiltà occidentale: ”Let’s piss on the city that’s burning down there”. Seguono Eden Prison, per la quale vale lo stesso discorso: versione demo nell’album solo, versione ufficiale nel disco Swans, e Oxygen, un blues acustico, decadente e straniato, là dove le note della chitarra risultano pesanti quanto i rintocchi di una campana. Si interrompe, guarda intensamente fra il pubblico: il suo tono è grave, ma al tempo stesso è di una gentilezza antica: ”Come state? Siete felici?” Lo ripeterà spesso nel corso della serata “Non è molto il tempo che ci è dato trascorrere qui sulla Terra. Mi piacerebbe che la mia musica potesse arrivare giù, nelle vostre pance, e potesse baciare i vostri cuori”. Riprende a suonare la chitarra e presenta She Lives! da The Great Annihilator, un disco del 1995 firmato Swans. E’ un brano che Michael esegue quasi sempre dal vivo, è un brano che possiede un crescendo acustico assolutamente avvincente, per quanto carico di lacerazioni. Le grida di Gira hanno un qualcosa di liberatorio, di catartico, lui prova con il suo canto a gettare un’ancora di speranza, oltre ogni limite, oltre la morte. “Siete contenti di essere vivi?” chiede ancora rivolto al pubblico prima di eseguire Blind, altro pezzo eseguito sia come Swans che con gli Angels of Light. E’ una slow ballad che si trascina amara, volutamente monocorde mentre riflette sulla fine delle illusioni giovanili: “if you saw with my eyes /you’d see what self-deception means”. Arriva il momento di “due canzoni d’amore”, o almeno come tali ce le presenta Gira. Si tratta di On The Mountain Looking Down, in realtà un brano durissimo, anche sul piano delle liriche, e di Two Women, una canzone che lui stesso definisce “più gentile” rispetto all’altra, dove risaltano però versi come quel “I can’t live without you” ripetuto più volte, a metà strada fra tonalità ironiche e disperate. Michael Gira regge la scena con una drammaticità forte e accentuata, molto teatrale, ma assolutamente autentica. Le storie che racconta, fatte di sangue, di amarezza, di abbandoni, di droga, di carcere e di violenza, sono anche sue. Non c’è separazione fra l’artista, che oggi ha 58 anni ed è padre di una bambina di tre, e quello che canta. Non c’è un muro fra l’arte e la vita, o meglio, se c’è, allora lui vuole abbatterlo con la sua musica, ad ogni performance dal vivo. Le note di My Birth, altra ballata acustica assolutamente fantastica, ci catturano in un solo istante: ”And I strangled your neck /because I love you too much”, non c’è via di mezzo, non si vuole alcun compromesso, amore e morte procedono insieme, come la gioia e il dolore: “and I will swallow your sorrow/ and I’ll steal your tomorrows”.
Nessuno è capace di liriche del genere, Gira è un poeta del rock decadente, è l’ultimo inascoltato sciamano della civiltà occidentale, un outcast che grida forte per farsi sentire da un mondo troppo occupato per ascoltare. “When you open your mouth / You are too stupid to scream” canterà poi su Promise Of Water, una ballata acustica che sembra una litania, una preghiera lanciata a uomini troppo distratti per poter capire. L’ispirazione è sia biblica che letteraria (T.S. Eliot The Wasteland), il segnale è comunque forte, e arriva, sia in pancia che al cuore. Ogni momento della performance acustica di Michael Gira prevede il massimo dell’estensione, si va ben oltre i classici tre minuti della forma canzone. Lui come artista, come uomo, si dona totalmente al suo pubblico, pone domande, ma non se la sente di offrire risposte di dare rassicurazioni. L’anelito religioso si fonde con una inquietudine generata da una condizione umana, che ci rende infelici, che ci impedisce di cogliere il senso profondo delle cose. “There’s nothing to fear” ammonisce ancora Michael “because nothing here is real”.
E’ il preludio alla fine, che arriva con l’esecuzione di God DamnThe Sun, un pezzo che potremmo definire folk underground, un altro momento in cui l’importanza ed il significato delle liriche quasi superano la semplice espressione musicale. Ecco, questo è forse un altro tratto della nuova dimensione di Michael Gira che, dopo aver pubblicato nel 1994 un libro molto discusso, intitolato The Consumer, si ripresenta in veste di scrittore dopo il concerto per presentare una sua nuova raccolta di otto racconti brevi corredati da un cd di spoken words. L’esibizione di Michael è durata non più di sessanta minuti, ma il suo live act è stato di una intensità rara, difficile perfino da raccontare. La profondità della sua voce amplifica la potenza delle liriche, le armonie delle sue composizioni non rispettano canoni consueti, sono volutamente cadenzate, lente ed ossessive, ma cambiano direzione in un istante e ti trascinano con forza - e con un ritmo frenetico - all’interno di un diluvio di emozioni che sorprende, che può far paura, al quale non siamo abituati.
SETLIST:
Jim Eden Prison Oxygen She Lives! Blind On The Mountain (Looking Down) Two Women My Birth Promise Of Water God Damn The Sun
(La foto di Michael Gira alla Locanda Atlantide è di Eugenio Corsetti/ Mauro Colapicchioni)
Articolo del
02/05/2012 -
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