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Duecentomila? Trecentomila? Mezzo milione? Ma alla fine cosa cambia? La storia del grande concerto del Primo Maggio a San Giovanni sembra ripetersi in modo puntuale come uno dei riti propiziatori (o autoreferenziali) dell’anno solare musicale. E invece colpo di scena.
Stavolta ci ho visto bene. E alla buon’ora mi sono mosso verso l’epicentro del concerto per piazzarmi sotto il palco tra i fotografi ed essere investito da sette ore di musica al netto delle pause e dei siparietti di Francesco Pannofino e Virginia Raffaele che a questo giro hanno nobilitato il delicato ruolo di facilitatori del Primo Maggio. L’atmosfera sottopalco del megaconcerto è completamente diversa da come la si può percepire stando comodamente seduti a vedersi il concerto su Rai Tre. E lo sforzo di tornare in Piazza San Giovanni dopo più dieci anni, è valso l’impresa. Il grande minestrone del Primo Maggio stavolta ha messo insieme degli ingredienti saporiti, conditi al meglio da una scelta di gruppi ed una formula che ha più di una volta sorpreso la massa di pubblico accorsa (forse per inerzia) alla cerimonia della festa dei lavoratori. E’ difficile salire sul palco e dire qualcosa di intelligente e di non-retorico in un periodo così drammatico per il mondo del lavoro; la disoccupazione cronica, le morti sul lavoro e la perdita di sicurezza e di diritti sono negli occhi di tutti e la maggior parte dei ragazzi che erano in piazza conoscono ormai solo due vocaboli: crisi e precarietà. Compito arduo scaldare gli animi degli scoglionati del Primo Maggio. Eppure qualcuno c’è riuscito. A partire da un presentatore sui generis come Pannofino, che tra arte e mestiere ha sempre mantenuto la calma e quella vena ironica che ha evitato qualche comprensibile tensione, inclusa la mancata esibizione finale degli Afterhours. Mi è piaciuto questo Primo Maggio di musica italiana e di grande celebrazione della storia del rock. Forse perché mi sono trovato sotto il palco, a due passi dal sudore dell’evento, ma anche e soprattutto perché chi sul palco c’è salito ha tirato fuori qualcosa di significativo.
Comprensibile il basso profilo di Dente, inserito nella fascia del primo pomeriggio, ha allietato le prime file senza scomporsi più di tanto. I Nobraino hanno “aggredito” il palco con grande agonismo e, alla fine, nonostante il gesto della rapatura a zero del cantante, il temuto effetto dei cinquecentomila di San Giovanni ha pesato moltissimo sull’esibizione del gruppo. Completamente all’opposto la performance del Teatro degli Orrori, nervosa, a tratti vibrante, è stata una scossa elettrica che ha generato il primo vero sussulto della giornata. I requisiti minimi per riuscire a “catturare” l’attenzione su uno stage cosi delicato, sono la rabbia e l’esperienza. Ecco perché il gruppo di Pierpaolo Capovilla ha registrato il maggior tasso di attenzione in uno dei momenti più brillanti dell’intera giornata.
Esperienza e cuore anche nell’esibizione dei Sud Sound System perfettamente a loro agio a scatenare la ressa dei tanti appassionati di musica salentina. Classe e sfrontatezza nell’apparizione di Nina Zilli che ha incantato soprattutto le prime file con uno charme d’altri tempi. Grande attesa anche per la grande novità di questo 2012, la reintepretazione dei dieci brani che hanno fatto la storia del rock, curata ed eseguita da Mauro Pagani che si è levato anche lo sfizio di cantare Purple Haze di Jimi Hendrix. L’esperimento di associare le performance orchestrali con una grande voce e la proiezione di video confezionati da dieci diversi registi per l’evento, ha raggiunto l’obiettivo di creare quella suggestione che, dentro la piazza, si è trasforma in alcuni tratti in vera emozione. Vedere e sentire Raiz che canta i Led Zeppelin, Elisa che indemoniata interpreta Jumpin' Jack Flash e Strawberry Fields Forever, Manuel Agnelli alle prese con We Won't Get Fooled Again degli Who, ha segnato in maniera indelebile ed irripetibile questo primo maggio 2012.
E poi il rush finale, preceduto dall’ospitata dell’unico gruppo straniero della giornata, gli Young The Giant, migliori interpreti del nuovo pop buonista statunitense. Ad aprire le danze Alessandro Mannarino, cantautore trasteverino che ha sfoderato tutto il suo potenziale da cantastorie del ventunesimo secolo, perfettamente a suo agio di fronte ad una platea ormai cotta a puntino. Ma l’artista perfetto per il concertone del Primo Maggio è sempre lui: Caparezza. Accompagnato sul palco all’interno di una gabbia da inquisizione, il guru del rap pugliese ha sfoderato tutta la sua follia con scenografie e provocazioni degne di uno spettacolo d’altri tempi. Caparezza è il Barnum della musica italiana e se molti addetti ai lavori storcono il naso per il suo stile un po’ naif, dovrebbero levarsi lo sfizio di vederlo una volta dal vivo, perché, come si dice alla buona, è “una passeggiata di salute”.
Nota finale dedicata ad un gradito ritorno. I Subsonica hanno ricordato la loro prima apparizione sul palco di San Giovanni nel 1998. Un’eternità. Samuel lo ha sottolineato poco prima di intonare le prime note di Per un’ora d’amore...
Articolo del
04/05/2012 -
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