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“Usa la forza...” questo incitamento è un must ormai da tempo, riadattato a seconda dei contesti, come giusto che sia. In questo caso la “forza” è quella di Sanremo, della tv... Ricordo di aver visto Marco Guazzone almeno cinque anni fa al Blue Note e poi al The Place, spettacoli intimi, oggi invece fa sold out al Circolo degli Artisti.
Che poi si fa presto a dire Sanremo, perché va bene che “Sanremo è Sanremo”, ma con tutti gli altri talent show e vetrine più o meno luminose, la concorrenza c’è ed è agguerrita. Pare che questo sia il caso in cui, una volta tanto, è il talento a darti la spinta necessaria per emergere e nel caso di Marco Guazzone ve lo posso mettere per iscritto (come del resto farò) e se volete anche firmarvelo con il sangue. La prima cosa che si nota guardando il palco è la minuziosa cura del dettaglio, ogni angolo del palco è pieno di rami bianchi che ricordano le corna del cervo del logo degli Stag, progettato ormai da tempo da Matteo, fratello di Marco. Il concerto si apre con un’intrigante ouverture strumentale e scorre godibilissimo tra pezzi originali e cover. Non conoscendoli tutti, in alcuni casi mi sorge il dubbio se alcuni dei brani proposti siano originali oppure delle cover di nicchia, il che evidenzia l’assenza di un gap tra questa giovane band ed i grandi. Quello proposto da Marco Guazzone e gli Stag è un rock-pop intelligente e arguto, che tra i motivi orecchiabili cela una ricerca dell’armonia molto rara al giorno d’oggi. Sound impreziosito dalle capacità dei singoli interpreti, tra i quali logicamente emerge Guazzone che però, di tanto in tanto, crea dei diversivi, cedendo la scena in particolare al polistrumentista Stefano Costantini, che si mette in luce specialmente per le sue doti alla tromba, il vero valore aggiunto alla compagine. Tra le cover, me ne aspettavo anche una dei Muse, non fosse altro perché le rievocazioni, per quelli che le sanno cogliere, sono molteplici, da quelle puramente di apparenza, come possono essere la citazione live di Feeling Good con la parte cantata al megafono seguita dal lancio di coriandoli. Allusioni anche musicali, quindi di ben altra sostanza, come per alcuni interludi e passaggi tra una canzone e l’altra, primo tra tutti quello chiamato Arabia, che rimanda l’immaginazione a United States Of Eurasia, firmata Matthew Bellamy e compagni. La maggioranza dei presenti esulta alle prime note di Guasto, ma la vera perla è il brano precedente, Love Will Save Us, struggentissima e di ispirazione targata Danny Elfman, non a caso fa volare la fantasia alle sonorità di Ice Dance, tratta dalla colonna sonora di Edward Mani di Forbice.
Senza tempo e con un finale prima corale, è Il Principe Davide, molto caratteristica, fiore all’occhiello dell’album L’Atlante dei Pensieri. Tra i pezzi estratti da questo lavoro brilla di luce propria per orecchiabilità ed originalità anche Rodby, molto coinvolgente e ritmata fino al tappeto finale, sostenuto dalla chitarra e dal synth. Reminiscenze a metà strada tra Bluvertigo e Muse, tra keytar, synth e vocalizer a tenere banco, in Antidote, preludio a Just Can’t Get Enough dei Depeche Mode, reinterpretata con la azzeccatissima intuizione di rimpiazzare la tastiera che originariamente apriva il pezzo con la tromba. Riferimenti britannici come se piovesse, ma non è fish’n’chips all’italiana, Guazzone ha vissuto a Londra e nella valigia di ritorno non c’era solo la giacchetta stile mod, bensì un background, partito dalla passione per Muse e Coldplay, diventato credibile con l’assorbimento della realtà musicale londinese, suonando nei locali di Camden Town dove hanno mosso i primi passi anche i suoi idoli. La chiusura della scaletta è l’apoteosi di tutto questo, con la travolgente Exutoire.
Chiusura, sì, ma solo della scaletta... Perché l’ultimo atto dell’esibizione consiste in un’ulteriore uscita a sorpresa, sottoforma di bagno di folla, perché Marco e gli Stag scesi dal palco si esibiscono per due pezzi straordinari proprio dal centro della sala, circondati dal pubblico, senza microfoni né amplificazione alcuna. Guazzone imbraccia una fisarmonica, seguito dagli Stag in veste acustica, con i quali vengono eseguite Il tempo dei limoni di Luigi Tenco, ma soprattutto la coinvolgente Ma che freddo fa dei Rokes e Nada, tra l’affetto e gli applausi dei presenti. Il risultato e la forma dei pezzi sono convincenti, così come la personalità espressa nei riarrangiamenti delle cover e l’esecuzione impeccabile, dando l’impressione che, se queste sono le basi di partenza, questa band potrà iniziare molto presto a togliersi grandi soddisfazioni.
Articolo del
11/05/2012 -
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