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Adesso sappiamo da cosa è dipeso il weekend di pioggia a Roma... Era una serata già calda quella di giovedì scorso a Roma, di lì a poco è divenuta a dir poco incandescente in zona Circolo degli Artisti, non a caso dove si sono esibiti i Black Lips, incendiari come sempre, al top della forma.
Il pienone non è immediato, intorno alle dieci si trovano ancora biglietti al botteghino ma poco alla volta arrivano tutti alla spicciolata. La situazione è apparentemente “discutibile”, sembra di essere ad un ritrovo di “hipster”, il 90% dei presenti ha lo stesso abbigliamento e lo stesso taglio di capelli, ma in definitiva perché stupirsi? Non era così anche negli anni 80 coi capelli cotonati o nei 90 con le camicie di flanella? Questa è la corrente di oggi, beceramente definita “indie”, nel calderone musicale ci stanno potenzialmente tutti e nessuno, anche i Black Lips. Personalmente non amo le etichette, che siano di genere o di corrente, specie se queste possano risultare limitate o ingrate, infatti preferisco descrivere quello che ascolto dalle cuffie o dai palchi, spesso con paragoni azzardati o metafore bislacche. A proposito... “Ma che genere fanno i Black Lips?” una volta a questa domanda ho replicato “Mmh... Boh... sono dei pazzi, drogati, fuori di testa...” insomma non ho risposto in maniera proprio esauriente, poi grazie al cielo internet mi è venuto in soccorso... “flower-punk” (che è anche il titolo di un brano di Frank Zappa), non so chi sia il genio che l’ha associato ai Black Lips, ma ha fatto bingo...
Nella musica e nelle esibizioni di questi quattro folgorati è come se ci fosse quanto di meglio possa tirare fuori una band punk mischiato a quanto di più malato ed impulsivo potessero concepire band come Beatles, Stones o Beach Boys nei loro momenti di più primordiale ed euforica follia. Le strutture dei pezzi si somigliano sommariamente tutte, non esiste un vero frontman e lo scopo finale è comunque quello di stabilire un’empatia con il pubblico che sia una trasfusione di gioia ed energia, operazione che puntualmente si verifica ogni volta. Sotto al palco si scatena il panico, dal primo (Sea Of Blasphemy) all’ultimo pezzo, non solo in quelli noti ai più. Il pogo anziché essere circoscritto si estende a macchia d’olio, tutto è fuori controllo, ci manca poco che anche quelli della security si mettano a fare crowd-surfing...! Non ci sono vezzi, la “scenografia” consiste in un telo bianco con su scritto il nome della band con una bomboletta spray, però una chicca è da segnalare, un rudimentale effetto scenico che regala un tocco vintage, psichedelico e kitsch ad alcuni pezzi. Infatti quando Cole Alexander annuncia al tecnico delle luci “Magic time!” i quattro sul palco vengono illuminati da una proiezione di una specie di liquido stile “blob”, color rosso sangue, come per l’esecuzione dell’acclamatissima Oh Katrina, con il suo innegabile e coinvolgente fascino surf, poi a seguire Dutronc, Lock N Key e Boone. Ben rappresentato anche l’ultimo lavoro della band, Arabia Mountain, dal quale vengono estratti Family Tree, Modern Art, Dumpster Dive e Go Out Let It Out. Dopo il super-classico Bad Kids (ormai un inno) e la sopraccitata Boone, la scaletta dovrebbe essere conclusa, i quattro ragazzi di Atlanta però decidono di regalare ai calorosissimi fan romani altri due veri bis, pura gratitudine per l’ondata di entusiasmo con cui sono stati accolti, saltando e ballando fino all’ultima nota, fino allo strenuo delle forze.
Questo, a prescindere dalle etichette di generi, sottogeneri, filoni e mode, si chiama rock’n’roll!
(La foto dei Black Lips sul palco del Circolo degli Artisti di Roma è di Nicholas Matteucci)
Articolo del
29/05/2012 -
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