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Sono le 4.00 di giovedì 31 maggio quando la sveglia inizia la sua petulante azione disturbante. Ho due ore di sonno e niente s'avvicina di più alla sensazione della morte, amplificata da ciò che mi aspetta: il taxi, il check-in, il terrore delle misure e del peso delle valige, il volo per Barcellona, l’arrivo a casa e la sera 10 ore di concerti. No, non ce la posso fare, la tentazione di rimanere a letto è invitante e calda come una donna lasciva. Ma, c’è sempre un ma di mezzo, 300 euro di spese fra biglietti e altro mi spingono a muovere le terga e anche velocemente, l’aereo di certo non aspetterà me. Il viaggio fino a Fiumicino sembra un film di Lynch, lento e asfissiante. Poche chiacchiere e tanta stanchezza vincono su tutto. All’aeroporto non c’è quasi nessuno, i controlli sono veloci, l’imbarco anche, tranne per la mia carta d’identità scaduta, ma ho il passaporto (previa strigliata subita la sera precedente dagli altri avventurosi partenti). Il volo è abbastanza sereno, arrivo previsto a Barcellona 8.30, e cosi va. Ore 10.00 piazza Catalunya, c’è qualcosa di strano, tutto si muove a rilento, proprio come a Roma, sì certo, i negozi semi chiusi, la gente non corre, le metro sono pulite, in orario e ci sono posti a sedere. Mi state prendendo in giro? Pare di no, lì si vive così e io che faccio, non mi adatto? Mai andare contro le usanze degli indigeni che parlano come noi ma con la “s” dappertutto. Nel giro di un’ora sono molto meglio di loro, stravaccato al bar, succo di ananas e cornetto e sole in fronte. L’arrivo a casa è abbastanza fluido, il tipo che mi accoglie è fulminato parla veloce, prende i soldi e scappa (come nel film). Ore 18.30 mi avvio, e in mezz’ora attraverso il lungomare che mi porta alla location del Primavera Sound. Lì grazie ad un’efficacissima (come no!) ragazza al botteghino, riesco a prendere il mio biglietto dopo mezz’ora. Lei mi chiede in che lingua voglio che mi parli, io le dico in inglese e lei parte in spagnolo, poi si ferma e me lo richiede, io dico inglese e lei parte in italiano. Non ci siamo, io non ho ancora bevuto, né mi sono drogato, lei ha le pupille apposto, sarà il mio fascino italiano che la confonde. Supero le barriere e ci siamo, in lontananza sul palco San Miguel sento le note degli Afghan Whigs, quindi è tutto vero, qui e ora. Greg Dulli è visibilmente invecchiato e dimagrito. Di cantare non se ne parla neanche, non ha imparato in tutti questi anni e non comincerà a farlo di certo ora. Le immagini che si stagliano sul tramonto sono suggestive e intriganti, lui gracchia, stona, urla a più non posso in Gentlemen, alla fine il concerto regge attraverso i classici che tutti cantano, quindi affanculo la tecnica e lunga vita al rock. (Crime Scene Part One - I'm Her Slave - Uptown Again - Fountain And Fairfax - Going To Town - When We Two Parted - Gentlemen - Crazy - My Enemy - See And Don't See - Love Crimes - 66 - Miles Iz Ded - Into The Floor).
(Ray-Ban) Mazzy Star, psichedeleggiano alla grande, il loro show è un inno alla lentezza più feroce, non hanno fretta di colpire o arrivare alla meta, ma il fonico dorme in piedi e li penalizza, soprattutto la voce. Dopo quattro brani me ne vado per prevenire l'attacco di Morfeo.
(ATP), (No) Sleep (Till Hammersmith), Cancellati, rimango deluso non poco ma considerando che 15 giorni prima li avevo visti al Circolo degli Artisti, la prendo con filosofia.
(Ray-Ban) Refused, Sono come pustole purulente sul fuoco di Sant'Antonio, suonano alla grande, spaccano i culi, attitudine no compromise, controllo e potenza, ricordano i R.A.T.M ma vanno dritti al sodo senza fronzoli o velleità chitarristiche. Esibizione uber alles. (New Noise – Summerholidays Vs. Punkroutine – Rather Be Dead – The Shape Of Punk To Come)
(ATP) Mudhoney, avvicinandomi l’acustica sembra pessima, poi con il diminuire dei metri m’accorgo che vanno come un treno ad alta velocità, non si fermano mai. Le sanno tutte, non temono gli anni né i paragoni con i loro coetanei. Il loro live è esemplare e vero. Il pubblico, numeroso, è in visibilio. (Sweet Young Thing Ain’t Sweet – Suck You Dry – Touch Me, I’m Sick).
(San Miguel) Wilco, se fosse per Jeff Tweedy non scenderebbe manco morto dal palco. Partono con Art Of Almost dilatando e comprimendo. Usano distorsioni e controtempi dentro melodie sghembe, il tutto arricchito con violente parti dissonanti. La sezione ritmica è un treno lanciato a folle velocità, il cui macchinista è completamente pazzo. Fanno tutto ciò che una band con i coglioni deve fare. Ogni live è una piacevole (ri)conferma. Dopo 1.20h di show la loro frase continua a essere: "we have some more". Impagabili. (I Might - Whole Love - Jesus, Etc - Poor Places - Impossible Germany).
(Mini) The XX, buoni i primi venti minuti, poi la buttano sulla monotonia dei lenti e mi allontano prima che crolli rovinosamente a terra per la noia.
(Mini) Spiritualized, Partono alla grande e continuano al meglio, anche se un pizzico di stanchezza, forse più mia che loro mi fa pensare che la band non sia proprio al top. A quota quattro brani, considerata la loro lunghezza è già mezz'ora di show, il mio sistema nervoso, cardiocircolatorio e psichico crollano per le due ore di sonno a fronte delle 48h in piedi. Alle 2.40 mollo la presa, l’ultima fatica è tornare a casa a piedi costeggiando la via del mare. Fuori dai cancelli è tutto un via vai di gente che urla, beve, ride, mangia e si stravacca. Ore 3.30 casa, fame, sonno, oblio.
Venerdì 1 giugno, ore 14.00: trapani, smerigliatrici e martelli pneumatici (e meno male che era una casa silenziosa!) irrompono nel regno di Morfeo, riportandomi violentemente alla realtà. Cappuccino e poi caffè dal cinese sotto casa. Secondo bisogno impellente: una fame da morire, quindi spesa, pranzo e pennichella. Ore 20.00, controlli saltati con bottiglia di vodka lemon, modello molotov, imbucata nella giacca di un’impavida accompagnatrice. (San Miguel) Rufus Wainwright, un concerto toccante e danzereccio che sfuma sul sole calante. Non lo adoro, ma il pubblico impazzisce per quest'omino e il suo live che non mostra pecche. Sa tenere il palco, ha una bella voce e i musicisti non sbagliano un colpo. Chapeu! (Out Of The Game - Barbara - Greek Song - Going To A Town).
(Pitchfork) The War On Drugs non malaccio, ma sulla lunga distanza diventano ripetitivi come il risultato di 2+2, dopo quattro brani il senso di deja vu si allarga come una pozza di sangue da cui ti allontani con ribrezzo.
(ATP Maledetto!) Melvins, ***** ***** ******* *******.
(San Miguel) The Cure, la folla è oceanica, suona per tre ore come se non ci fosse un domani. Probabilmente le avranno fatte tutte ma io non posso reggere all’idea di perdermi altri concerti e mi sposto. (Pictures Of You – A Forest - Plainsong, Pictures Of You, End Of The World, Lovesong, Push, In Between Days, Just Like Heaven, From The Edge Of The Deep Green Sea, A Forest (Happy Birthday Simon) – Bananafishbones)
Vice, (adoro l’odore del) Napalm Death, è il concerto della serata. Spaccano tutto nel raggio di 100 metri. La gente urla e balla, loro sono in forma smagliante, pescano a piene mani dal presente e dal passato con la stessa foga di vent'anni fa. Sulle note di Nazi Punks Fuck Off è tripudio misto a ovazione adorante e definitiva. GIGANTI. (Protection Racket – Quarantined – Scum). Ripasso dal San Miguel dove Robert Smith e soci ci stanno dando ancora sotto senza risparmiarsi manco un attimo.
(ATP perdonato!), Dirty Three, una grande esibizione pirotecnica. Psichedelici quanto basta e potenti come un caterpillar eseguono un set violento e impeccabile. I loro crescendo sono ipnotizzanti sembrano esplodere da un momento all’altro e a ogni secondo la deflagrazione viene spostata un po’ più in là come la linea di un imprendibile orizzonte (The Pier And Rising Below)
(ATP) Codeine, concerto della stessa intensità emozionale dei Godflesh. Non è facile vedere due band dello stesso calibro, sullo stesso palco, che passano così raramente dal vivo. Si è vero, forse suonano un'unica sola canzone, come per Dopesmoker degli Sleep, forse tengono sempre lo stesso tempo ma l’intensità sale e scende come un moto ondoso in aumento. Magici e rovinosi. (D – Sea - Loss Leader).
(Mini) M83, dieci minuti vanno pure bene, dopo è la solita solfa fatta passare per chissà ché. Insomma in studio saranno pure magici ma dal vivo non dicono niente di nuovo, anzi stancano velocemente e alla grande.
(Pitchfork) SBTRKP, disturbanti con frequenze cacofoniche e video da asfissia psichica, pochi (minuti) ma buoni davvero.
(San Miguel) The Rapture: SPACCANO e non c'e' proprio bisogno di aggiungere altro. (House Of Jelous Lovers). (continua)…
Articolo del
09/06/2012 -
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