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Sabato 2 giugno ore 10.00 una strana e inquietante musica filtra dai muri di casa, è snervante, la voce che ci canta su è anche peggio, reggo un’altra ora poi mi alzo. Solito giro dal cinese che ormai chiede direttamente se voglio un Estrella. La risposta è no, caffè e latte e secondo caffè. Estrella? Stavolta si. Pranzo e pennica come sopra. Ore 19.15, si ricomincia dall’ATP e con gli Sleepy Sun: sono unici davvero, suonano con il sole alto. Siamo in pochi ma molto cazzuti, loro non sembrano minimamente risentire della defezione di Rachel Fannan. Suonano bene e tanta roba, il presente si mescola al passato con grande classe, emozioni e brividi incalcolabili per tutta la durata. (Martyr’s Mantra – V.O.G. – New Age).
(Pitchfork) Atlas Sound, una chiavica noiosa e pesante, moscissimi e ripetitivi, a venti minuti trovo più interessante il plastico di Bruno Vespa, e ho detto tutto.
(Vice) Olivia Tremor Control: 10 minuti e mi ricopro di bubboni esoterici. O non sono in forma io o loro sono letali come l’Amanita Phalloides.
(ATP) Shellac: vincono su tutti i fronti. La sezione ritmica è imbattibile. Nonostante gli anni non perdono neanche un'unghia del loro smalto e della forza motrice. Sotto il palco vola di tutto: da Converse verdi numero 43, gentilmente offerta da una sconosciuta, a cappelli, bottiglie, vodka, birra e sudore. È rock no? Dopo un’ora il pubblico non ne ha ancora abbastanza, loro si girano più volte cercando lo sguardo degli organizzatori che gli fanno cenno di smettere, la soluzione viene improvvisata in corsa. Fanno un altro pezzo e a metà mollano gli strumenti lasciando il batterista alle prese con pattern pesanti come ghisa. Nel frattempo ritornano portandogli via un pezzo alla volta della batteria. Impazziamo tutti, definitivamente devoti al loro sound. Cos’altro volete, che si versi del sangue in nome del dio rock? (Crow – Wingwalker – Prayer To God).
(ATP) Godflesh: Impareggiabili. Rabbia, distorsione, batterie elettroniche e violenza per un'ora di delirio supremo, dopo è inutile vedere altro. Alle 2.00 la direzione è verso casa attraverso via del mar, fa caldo ma è ventilato, le birre e i vodka lemon fanno il loro bell’effetto sugli occhi, le immagini trasmesse alla retina sono sfuocate e piacevolmente psichedeliche, il brusio di una lingua sconosciuto ma non del tutto ostile ci accompagna attraverso questo viale lungo, in mezz’ora a casa, quattro chiacchiere e in un nanosecondo una passeggera, si spera, morte cerebrale regna sovrana. (Streetcleaner – Like Rats – Tiny Tears – Mothra – Crush My Soul – Life Is Easy).
Domenica 3 giugno, ore 13.00. Il cinese è dalla nostra (parte), sempre aperto sempre operativo, non capisce una sillaba di quello che gli dico ma ci arriva lo stesso. Coca Cola, almeno tre, poi un internet point per fissare qualche idea e ritorno a casa per un pranzo decente. Pomeriggio moscio, il tempo non aiuta anzi si sta mettendo a piovere, rimando l’uscita di qualche ora. Alle 19.00 una lunga passeggiata mi porta a vedere qualcosa di Gaudì ma è tardi, stanno chiudendo e piove. Boicotto le opere d’arte e buttiamoci sul cibo va. Localino intrigante: vino rosso, gamberoni, polipo e calamari arrosto. Patate fritte in salsa piccante e paella. Dolce al cioccolato e digestivo. Esco, riprendo ancora la metro, è sempre pulita e puntuale. Ci si può sedere, ancora non ci credo. Alla sala 2 dell’Apollo c’è una fila immobile, tanto immobile da farmi pensare più volte alla fuga e al letto. In poco tempo però mi ritrovo dentro il locale, la sala si riempie velocemente, sono tutti in attesa dei Black Lips. Scelgo il piano superiore dove ci si può sedere comodamente e collegarsi alla rete. Intanto la sala è stracolma e in mezz’ora eccoli sul palco, quattro ragazzini vestiti alla meno peggio che infiammano letteralmente il palco, fumo, headbanging, stage diving feroce, botte, magliette strappate, pseudo groupie impazzite, tanto sudore e voglia di scopare fra le prime cinque fila impazzite. Musicalmente i Black Lips non dicono niente di nuovo e sono pure abbastanza deludenti ma sanno benissimo come tenere il palco. Le ragazze (fidanzate?) alle loro spalle diventano parte integrante dello show, lanciano rotoli di carta igienica sul pubblico (è un messaggio velato che indica che la band fa cacare?) non lo sapremo mai. Ciò che possiamo dirvi è che dal vivo spazzano via tutto con un’energia invidiabile ma suonano e fanno ciò che Jerry Lee Lewis faceva e suonava 60 anni fa, meglio e in modo molto più credibile. Alle due sono fuori dal locale, bottiglietta d’acqua in cinque minuti prendo un taxi che a Roma mi sarebbe costato un rene, che mi porta a casa velocemente sano e salvo.
È lunedì mattina, hanno staccato l’acqua per lavori, scendo per fare colazione, il cinese ride. Caffè, qualche baguette da riempire per pranzo e risalgo su. Tutto è pronto, per la prima volta non ho la sensazione di aver dimenticato qualcosa. Ma il proprietario invece si è dimenticato della partenza. L’aereo è alle 14.00 e lui vuole venire a casa alle 13.00, capisco prendersela comoda, ma mi pare un tantino esagerato. Contratto che arrivi per le 12.15, da lì via di corsa in taxi. Il viaggio e i controlli sono ovattati. È tutto abbastanza calmo, la voglia di partire pari allo 0 assoluto. La fila per l’imbarco è veloce. La pilota, abbastanza maldestra, ci fa sussultare nel decollo e quasi vomitare durante l’atterraggio, brava e complimenti! Morire in volo, dopo cinque giorni di live non sarebbe male, anche perchè appena metto piede a Roma annunciano il primo ritardo dei collegamenti per Termini. La gente urla, corre infuriata e litiga. Nel treno siamo stipati, non c’è posto per le valigie, la metro è lenta, puzza e soffoca i viaggiatori. Un ritorno traumatico. Bienvenidos a Roma stocazzo(s)!
Articolo del
10/06/2012 -
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