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Sotto un cielo grigio che si sta già gonfiando di pioggia, il pubblico dello Stadio Artemio Franchi di Firenze è in frenetica attesa. Quella accorsa stasera ad assistere al concerto di Bruce Springsteen e della E Street Band è una moltitudine eterogenea che abbraccia più di una generazione, bambini compresi. L’atmosfera è rilassata e assomiglia davvero ad un incontro tra amici. Ci si guarda, quasi ci si sorride spontaneamente, pronti a condividere un lungo ed intenso spettacolo.
Quando le luci illuminano il palco, le note di Ennio Morricone di C’era una volta in America ci regalano il primo brivido della serata e i componenti della E Street Band, seguiti da un Boss in pienissima forma, prendono il loro posto. ‘Ciao Firenze, siete pronti?’ saluta Bruce mentre la folla già lo acclama a braccia tese. Un attimo e subito le note dirompenti di Badlands, immediatamente seguita da No Surrender, esplodono e aprono la prima parte di un concerto in cui le voci e gli strumenti fondono blues, soul, gospel, folk e rock’n’roll. La E Street Band costruisce intorno alla voce graffiante e incisiva di Springsteen la fitta ed energica trama sonora che ci eleva al di sopra della crudezza del nostro tempo, la stessa per la quale arriva l’invito a prenderci cura di noi stessi di We Take Care Of Our Own e il monito a tenerci stretta la nostra rabbia per non soccombere alla paura di Wrecking Ball, dall’omonimo album i cui brani raccontano l’America della disillusione e della crisi economica. Seguono senza sosta My City Of Ruins, Spirit In The Night e una struggente Jack Of All Trades dedicata in italiano a coloro che devono affrontare i tempi durissimi che hanno investito il nostro Paese, in modo particolare ai terremotati dell’Emilia. Intanto cade ininterrottamente (ma non frena l’entusiasmo della platea) una pioggia certamente antipatica, ma che sembra scesa a lavare via tutte le scorie negative e a prepararci in qualche modo ad una possibile rinascita, perché ‘hard times come and hard times go’, i tempi duri arrivano e se ne vanno. Bruce allarga le braccia e si lascia bagnare, apre sorrisi, corre sulla passerella e scherza con il pubblico. La scaletta procede con Prove It All Night, Shackled And Drawn, Waitin’ On A Sunny Day per la quale lascia il microfono ad un bambino fatto salire sul palco dalle prime file. Non mancano le cover tra cui Trapped di Jimmy Cliff e Burning Love di Elvis Presley. E ancora The River, The Rising, Backstreets e i classici Born To Run, Hungry Heart e Dancing In The Dark accompagnata dall’ormai rituale ballo con la ragazza presa in braccio dall’area ‘pit’, l’agognata zona sotto il palco per la quale è necessario partecipare ad una speciale estrazione.
Più di tre ore sono trascorse e il prato è ancora gremito di una folla in cui qualcuno dimentica la pioggia e si abbandona ad una danza liberatoria. Un’intensa emozione giunge quando le note di Tenth Avenue Freeze-Out si interrompono e sui grandi schermi cominciano a scorrere le immagini di Clarence Clemons, il sassofonista della E Street Band scomparso l’anno scorso e magistralmente sostituito dal nipote Jake Clemons. Il primo piano sugli occhi di ‘Big Man’ chiude il tributo ed è accolto da un lungo e appassionato applauso che lascia per un attimo senza respiro, in omaggio al potente vento soffiato da quei polmoni per il quale Bruce gridava ‘Blow, Big Man, blow’. La pioggia non concede tregua, in molti cominciano ad abbandonare lo stadio mentre tanti ancora resistono e Springsteen lascia partire altre due cover con cui chiude la sua tappa toscana: Twist And Shout dei Beatles e Who’ll Stop The Rain dei Creedence Clearwater Revival al grido ‘You’re a fucking die hard’, ‘siete duri a morire’.
E proprio così ci sentiamo questa sera, con una strana energia sotto la pelle dura a morire: effetto Bruce Springsteen.
Articolo del
13/06/2012 -
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