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Ci sono varie versioni di Chris Cornell: la prima è indissolubilmente legata ai Soundgarden. Poi c’è quella fiacca della carriera solista seguita da una terza che lo vede rinascere con gli Audioslave. Infine l’ultima, intimista e acustica, che si presenta in Italia per cinque date, di cui una saltata per un virus intestinale.
La location scelta per il live di Firenze è la Cavea del Nuovo Teatro Opera che registra il sold out. Con il sole alto e i gradini infuocati, mentre nell’aria le zanzare banchettano allegre, sale sul palco l’opener Paul Freeman che sa coinvolgere il pubblico mostrando presenza scenica e buoni arrangiamenti. I successivi 40 minuti, dei quali 15 persi nel tentativo di prendere una birra pure calda, volano via leggeri. Intanto il tramonto porta il buio in sala e il brusio del pubblico si trasforma in un incessante incitamento diretto verso il palco.
Passano pochi minuti e Cornell appare magrissimo, in jeans e maglietta grigia, capelli lunghi e una piccola collana che luccica a ogni movimento. A cinquant’anni è ancora in forma, fa il piacione senza fatica e, ancora prima di iniziare, s’ingrazia il pubblico con abbracci e strette di mano come un Frank Sinatra dell’hard rock. Qualunque cosa faccia o dica non importa: il pubblico è in visibilio. Cornell è un mostro sacro del rock moderno ma è davvero difficile capire perché ogni due per tre parta una standing ovation. Nonostante l’evidente calo di registro, che l’ha trasformato in un bluesman dalla timbrica roca e dall’estensione ridotta, la gente continua ad amarlo alla follia. Non importa che non riesca più a raggiungere le vette alte che da sempre la sua ugola ha sfidato. Chris forza la gola portandola al limite, e anche se gratta malamente va tutto bene, la gente apprezza lo sforzo e gli arrangiamenti. I pezzi sono quelli che esegue da anni: sceglie un’ottima Wild Awake che cozza con una minore Sunshower, rimodella Wooden Jesus saltando i picchi più alti e, mentre abbassa di qualche tono la sua acustica, ci meraviglia con un’ottima e inaspettata versione di Outshined. Non mancano le ballatone, Call Me A Dog da brivido e Hunger Strike, e l’omaggio all’amico e collega scomparso Andrew Wood con Man Of Golden Worlds in cui accenna Comfortably Numb (Pink Floyd). Ma è con il poker d’assi Blow Up The Outside, Like A Stone, Thank You (Led Zeppelin) e Doesn’t Remind Me che conquista definitivamente tutta la Cavea, nuovamente in piedi. Sorvolando su alcuni punti morti, gli altri highlights sono l’eccellente Fell On Black Days e Burden in My Hand. In chiusura arrivano Black Hole Sun, che in questa occasione diventa Black Hole Son, con tanto di maglietta in vendita (sigh!), per la presenza delle figlie sul palco, e A Day In The Life (Beatles).
Nel frattempo ho lasciato la figura del “critico”, che con la scusa di raccontare la verità si lamenta di tutto, e sono sceso sotto il palco per stringergli la mano, guardando gli ultimi brani da vicino ascoltando la musica direttamente dalle spie a tre metri da me. Alle 23.30, dopo qualche minuto dalla fine dello show, i tecnici ci fanno segno che è ora di lasciare la Cavea, mi dirigo verso casa, dove prendo una birra fresca e una schiacciatina per recuperare le energie.
SETLIST:
1.Scar on the Sky 2.House Where Nobody Lives (Tom Waits cover) 3.Ground Zero 4.Wide Awake (Audioslave song) 5.Be Yourself (Audioslave song) 6.Can't Change Me 7.Man Of Golden Words/Confortably Numb 8.Wooden Jesus (Temple of the Dog song) 9.Call Me a Dog (Temple of the Dog song) 10.Hunger Strike (Temple of the Dog song) 11.Sunshower 12.Fell on Black Days (Soundgarden song) 13.Outshined (Soundgarden song) 14.When I'm Down 15.Scream 16.Blow Up the Outside World (Soundgarden song) 17.Seasons 18.Thank You (Led Zeppelin cover) 19.Like a Stone (Audioslave song) 20.Doesn't Remind Me (Audioslave song)
Encore: 21.Burden in My Hand (Soundgarden song) 22.I Am the Highway (Audioslave song) 23.Black Hole Sun (Soundgarden song) 24.A Day in the Life (The Beatles cover)
Articolo del
02/07/2012 -
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