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Escono proprio in questi giorni le edizioni rimasterizzate dei vecchi dischi di Alan Stivell, nome d’arte di Alan Cochevelou, nato 68 anni fa a Riom, in Francia, da una famiglia di origini bretoni. E’ l’occasione giusta quindi per andare a riascoltare un’altra volta dal vivo le esecuzioni di questo artista geniale che ha avuto il merito di dare nuova vita ad uno strumento antico come l’arpa celtica e di dare voce alle istanze della popolazione bretone, che hanno ben poco da spartire con gli slogan indipendentisti che siamo abituati a sentire in qualche area - improntati all’individualismo – che siamo abituati a sentire in certe aree della regione lombardo-veneta. La tradizione musicale bretone si è sempre mescolata con la cultura gaelica della popolazione irlandese, ma trova radici anche in Africa e in Oriente. Ecco perché, dopo oltre quaranta anni di recupero di sonorità di un lontano passato, Alan Stivell ha deciso da qualche tempo di aprire la sua musica verso nuove frontiere, con percorsi più propri alla World Music che occasionalmente, come nel caso del recente Emerald, strizzano l’occhio anche all’elettronica.
Alan Stivell si presenta sul palco del Festival di Villa Ada in ottima forma, malgrado l’incedere degli anni, si incarica sia della sezione vocale dei singoli brani che di pizzicare a dovere le corde della sua gigantesca e preziosa arpa celtica, posta al centro del palco. Accanto a lui sulla scena i musicisti della sua ultima tour band, che rispondono ai nomi di Gaetan Grandjean alla chitarra, di Raphael Chevalier, al violino, di Edouard Leys, alle tastiere, e di Marcus Camus, alla batteria. Il tema centrale della serata è la riproposizione per intero del disco Live a' L’Olympia, un album del 1972 che esce in una nuova edizione. Infatti - dopo i primi venti minuti dedicati principalmente ai brani di Emerald - Alan Stivell lascia molto spazio alle esecuzioni di composizioni come The Wind Of Keltia, The Foggy Dew, The Trees They Grow High e The King Of The Fairies e si nota subito la differenza: là dove un fastidioso ed invadente drum beat inseriva elementi di fusion e il ricorso ad arrangiamenti molto catchy faceva orribilmente rivivere il fantasma di Hevia, e della sua cornamusa elettronica, le vecchie canzoni permettono al violino di dialogare con la chitarra acustica e con i fiati e l’arpa torna a cesellare melodie antiche e sognanti. Sinceramente dischi come Reflets e Renaissance de l’Harpe Celtique restano insuperabili e l’album dal vivo all’Olympia di Parigi (lo stesso teatro dove Alan Stivell si era esibito alla tenera età di 11 anni) li racchiude tutti, quindi la soddisfazione del pubblico, numeroso e ben contento di rinnovare l’appuntamento con la musica celtica, è davvero tanta. Il concerto è lungo ed alterna momenti bellissimi - come l’esecuzione di Son ar chistr - a episodi un po’ fuori luogo, come un lungo assolo di batteria stile Santana, o soluzioni troppo commerciali, di cui proprio non si sentiva il bisogno. Gli stessi componenti di un gruppo di ballo celtico, che si era gioiosamente dato appuntamento sotto palco, e andava via via incrementando le sue fila con nuovi improvvisati innesti, trovavano difficoltà a mettere in scena nuove coreografie che potessero adattare i loro passi di danza ai nuovi beat decisamente fusion della band di Alan Stivell.
Questo passaggio dal folk revival ad un nuovo sincretismo musicale desta qualche sospetto: forse è l’unico modo di tenere insieme una formula nata negli anni Settanta e che necessita quindi operazioni di mantenimento, ma tutto questo mette a serio rischio l’originalità dei suoni e di quegli strumenti eminentemente acustici che proprio lo stesso Alan Stivell aveva contribuito a recuperare. Il live è diventato una necessità, un momento di sopravvivenza, vista la crisi dell’industria del disco, ma sono piuttosto sicuro che si sarebbero potuti ottenere risultati altrettanto elettrizzanti attraverso sonorità meno elettrificate...
Articolo del
16/07/2012 -
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