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Terzo concerto in tre giorni e poche ore di sonno alle spalle, i miei sogni hanno ancora come protagonista Marilyn Manson, che ho visto ieri e con il quale, nonostante mi sia imbucato nel parcheggio del suo tour bus, non sono riuscito a scambiare nemmeno mezza parola. Il giorno prima mi ero calato nel mood di una tre giorni decisamente surreale grazie ai redivivi Ray Manzarek e Robby Krieger, superstiti dei Doors, accompagnati da un cantante che era in tutto e per tutto il clone di Jim Morrison, roba da brividi. Oggi però tutto sarà più fresco e genuino, i Wolfmother e gli Answer hanno lo spirito più puro del rock’n’roll, racchiuso nei loro giovani corpi, con energia “da vendere”, ma che per la gioia di chi come loro vive per la musica, sono molto più propensi a regalare.
Arrivo all’Atlantico intorno alle 8 insieme alla mia amica Valeria, ho fatto bene i compiti e so che mi è stato messo da parte un pass, così lo ritiro e dopo aver salutato un po’ di amici mi precipito nel backstage. Incontro subito alcuni membri degli Answer, che avevo intervistato già quest’inverno quando erano venuti a suonare al Lanificio di Roma. Micky Waters, il bassista, mi riconosce subito e mi saluta, anche Cormac Neeson, il cantante si ricorda di me, idem per Paul Mahon (chitarrista). Non c’è nessuna intervista in programma oggi, quindi bando agli atteggiamenti formali entriamo da subito in clima da vecchi amici, tracannando birra e chiacchierando del più e del meno. Rimango solo con Cormac, sarà la sua somiglianza con Robert Plant o comunque l’aurea mistica da rockstar anni 70, tant’è che nel discorso viene fuori anche un’amica in comune, Penny, con la quale ho condiviso la fantastica avventura al seguito della band di Roger Daltrey degli Who pochi mesi fa. Cormac l’aveva conosciuta quella sera dell’ultimo concerto degli Answer a Roma, così gli ho raccontato un po’ di aneddoti, lui mi è sembrato particolarmente divertito, per tagliare la testa al toro mi è bastato ricondurre tutte le nostre follie alla smodata ammirazione per il film Almost Famous, condivisa da entrambi, tutto è divenuto chiaro e cristallino. Concerti, backstage, bevute e party con le rockstar... sono queste le cose per le quali vale la pena vivere, io e Penny ne abbiamo fatto il nostro credo più radicato. Riesco anche a strappare una mezza indiscrezione sul futuro prossimo della band, che prevede di ritornare presto in studio per iniziare le registrazioni del nuovo album e che le fondamenta del successore di Revival sono già state gettate, come dimostra anche l’uscita del recentissimo EP Rise.
Riesco a far entrare nell’area backstage anche Valeria ed insieme aspettiamo Andrew Stockdale, mi sono passati davanti anche gli altri della band, ma vuoi perchè non li conosco troppo bene (avendo scoperto i Wolfmother quando erano ancora un trio) ed un po’ perché sono ansioso di incontrare solo Andrew, non sono andato oltre dei cordiali saluti. Ad un tratto eccolo qua... Emerge dal camerino con in mano un cartone di latte di cocco... “Oddio, è un salutista!” è la prima cosa a cui penso, ma metto da parte questo pensiero e inizio a parlarci. Prima di trovarmelo davanti avevo il timore che potesse deludere le mie aspettative rivelandosi uno stronzo... non so bene perché... sarà che ero appunto affezionato anche ai due suoi vecchi compagni della formazione originale, sulla cui presa di distanza dalla band non è mai stata fatta vera e propria luce. In realtà Andrew si dimostra tutto il contrario, ha un’aria stralunata, però ti sta anche a sentire, ci tiene a sapere il mio nome e quello di Valeria, presentandosi a sua volta come una persona comune. Gli racconto di averlo visto in occasione del Virgin Festival di Toronto nel 2007, all’epoca del tour del loro primo tour mondiale, che ero in prima fila e che lui mi regalò il porta plettri, senza coltivare la minima speranza che si ricordasse di tutto ciò. Andrew sorride, così gli porgo la copertina del loro primo album per farmela autografare. “Keep Rocking Nick” è’ questa la dedica che mi riserva prima di andarsi a scaldare la voce nel camerino. Poco prima di andare però Valeria lo ferma per fargli una richiesta speciale, si tratta di una canzone, la sua preferita... Caroline, lui annuisce con la testa. Nella lista dei pezzi inseriti nel borderò che compare di lì a poco sotto i miei occhi Caroline non è annoverata però.
Il tempo vola e per gli Answer scatta l’ora di salire sul palco, tra l’altro assisto ad una di quelle scene che avevo sempre sognato di vedere, il momento di raccoglimento e di auto incitamento di una rock-band prima di andare a suonare... Gli Answer sono di fronte a me, si stringono in un mini-circolo si urlano qualcosa a vicenda e vanno a prendersi palco e boato. Il pubblico è caldissimo, più di queste giornate torride che stanno tormentando la capitale, rendendo l’atmosfera incandescente. Pubblico tra l’altro molto maturo nonostante l’età media non sia altissima, che riserva una grande accoglienza ed un ottimo trattamento nei confronti degli Answer che, al pari dei Wolfmother, incarnano a tutto tondo quello spirito rock’n’roll tipicamente anni Settanta che li caratterizza sia nel sound che nel look. Il loro set coinvolge ed appassiona, confermando tutto quello che di buono si dice su questa band alla quale sembra mancare forse solo una hit caratteristica, per accedere allo stadio di band di prima grandezza del panorama rock moderno, come a voler dire che la differenza tra loro ed i Wolfmother è data da Woman e Joker & The Thief. A noi buongustai però delle hit non ce ne importa nulla, ci godiamo pezzi come Waste Your Tears, tanto per citarne uno, in cui se hai la fortuna di gustarti l’esibizione da dietro il palco capisci ancora meglio perche c’è chi paragona Cormac a Robert Plant.
Gli Answer abbandonano il palco tra gli applausi, tocca ai Wolfmother. C’è l’entusiasmo che contraddistingue i grandi eventi, del resto non potrebbe essere altrimenti, questa è una band che, per quanto non vada a dire pressoché nulla che non sia già stato detto da quarant’anni a questa parte, è forte di una genuina carica rock’n’roll vecchio stile, che tanti provano ad imitare, ma che pochi riescono a centrare in maniera credibile, convincente ed appetibile. Che l’esibizione di stasera sarebbe stata “insolita” lo si può intuire già dall’apertura, con la spensierata White Feather, seguita da Dimension. La scelta dei brani in scaletta non contempla momenti di calma, è come essere finiti dentro ad un ciclone, un vortice sonoro fatto di martellante hard-rock d’annata ed interludi di stampo psichedelico. La nuova formazione a cinque elementi consente di avere un impatto sonoro più pieno e devastante. L’alternanza di brani estratti tra il primo omonimo album ed il successivo e per ora ultimo Cosmic Egg viene gradevolmente interrotta da due anticipazioni del futuro lavoro. Long Way alla lunga risulta un po’ monotona, sebbene orbiti sempre negli standard che ormai contraddistinguono il sound della band australiana. Altra musica per l’altro inedito Keep Moving che è invece impreziosita da una caratteristica raccontata da Andrew prima di eseguire il pezzo. Il leader dei Wolfmother infatti mostra con orgoglio la chitarra con cui si appresta a suonare il brano, ne ha tutti i motivi perché colui che l’ha costruita e gliel’ha regalata è nientemeno che Seasick Steve, che in Italia conoscono in pochi, trattasi di un mito vivente, che con i Wolfmother ha anche condiviso il palco in un paio di occasioni nel suo recente tour affiancato da John Paul Jones dei Led Zeppelin (sempre ricorrenti). Keep Moving ricorda Seasick Steve anche nel sound, quasi come se nella chitarra da lui costruita avesse trasferito anche la sua essenza stilistica, prettamente blues-country.
Il tasso più alto di rock’n’roll, in tutta la sua follia e sregolatezza però si manifesta durante l’esecuzione del “classicone” Woman, il cui tappeto strumentale viene prolungato a dismisura. Andrew prima invita sul palco Cormac degli Answer, poi due dei Dead City Ruins (che già avevamo apprezzato in occasione dell’Hard ‘N’ Heavy Day e come spalla dei Mastodon) anche loro australiani e poi... invita me! Ebbene sì, mi trovo vicino alla scala per salire sul palco, quando Andrew mi indica e mi fa cenno di salire sul palco! Non posso crederci... Saltiamo e balliamo tutti, è un momento di un’intensità incredibile.... fortunatamente non sono mai stato “un timido” così non solo salgo, salto e ballo, ma prendo anche il microfono di Andrew per lanciare un urlo belluino che lui stesso manifesta di gradire dandomi una gioviale pacca sulla schiena, prima che uno dei Dead City Ruins mi salga sulle spalle... Qualche minuto di puro delirio, poi usciamo per non essere troppo “invadenti”. La band lascia il palco, tutti tranne Andrew, che sembra non volerne sapere di prendersi pause... c’è un momento in cui ha qualcosa da dire un po’ contro tutti, tipo chi gli ricorda che il tempo del concerto sta per scadere al quale risponde “Fanculo! Io non suono per voi... suono per questi ragazzi – indicando il pubblico – qui davanti a me!” e poi con i dj che avevano intrattenuto i presenti durante il cambio di palco “Fanculo i dj... quella non è musica, io suono un vero strumento…!”, non so se i ragazzi di Touch The Wood avranno apprezzato... c’est la vie! Stockdale si fa quindi dare un panchetto ed una chitarra acustica per regalare una sorpresa... o meglio, che si tratti di un regalo in realtà lo sappiamo solo io e la mia amica Valeria, perché la canzone che suona e canta in solitaria è Caroline... proprio quella che gli aveva chiesto Valeria e che non era stata inizialmente messa in scaletta.
Tornano gli altri Wolfmother, il gran finale è Joker & The Thief, che segna il trionfo di questa band e consegna alla storia una performance epica. Andrew guadagna il camerino invitando me e qualche altro presente che si trova a bordo palco a bere (ancora...). Ha l’entusiasmo e la felicità di un bambino dipinti in volto, sono momenti fantastici. Vorrei scambiarci qualche altra parola, ma ormai è impossibile, visto che il frontman australiano ha evidentemente varcato di molto il punto di non ritorno etilico, rendendosi protagonista di situazioni e dialoghi esilaranti ma non riportabili in via ufficiale, fino al momento della sua forzatissima dipartita in direzione hotel.
Momenti, tutti, quelli del concerto per i quali vale la pena vivere per qualsiasi appassionato di rock, se può sembrare esagerato non lo so e non mi interessa, del resto come diceva Mick Jagger “I know, it’s only rock’n’roll... but I like it!”
(Nella foto: Nicholas Matteucci e Andrew Stockdale)
Articolo del
19/07/2012 -
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