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Ogni volta che sto per andare ad un suo concerto ripenso alla premessa che faccio a tutti quelli che mi chiedono chi sia Xavier Rudd: “L’ho scoperto perché nel 2008 apriva il concerto di Ben Harper, quando poi sono uscito e gli amici mi chiedevano come fosse stato Ben Harper dicevo a tutti: Chi? No guarda... con tutto l’amore ed il rispetto, ma chi se ne frega di Ben Harper! Non avete idea di chi fosse quello che ha suonato prima!” Queste argomentazioni in genere colpiscono e catturano l’attenzione, poi a seconda del grado di elevazione cultural-musicale dell’interlocutore fornisco ulteriori descrizioni sul tipo di spettacolo che l’artista australiano propone, cercando in maniera più o meno insistente di convincerlo a venire a vederlo, nemmeno si trattasse del concerto di mio fratello o del mio migliore amico. In definitiva credo che ad uno show di Xavier Rudd ci si inviti qualcuno a cui si deve voler bene, perché è come fare un regalo, che consiste nel portare l’anima e la mente in un centro di benessere.
Per quanto mi riguarda è la terza volta che ho il piacere di vederlo, due anni fa era accompagnato dagli Izintaba, i quali avevano collaborato per l’incisione del suo penultimo lavoro Koonyum Sun, ora invece si presenta da solo (eccezion fatta per una special guest violinista per un pezzo). L’immancabile bandiera degli aborigeni australiani funge da drappo alle spalle del “trono” del polistrumentista, composto principalmente da percussioni e didgeridoo, lo strumento senz’altro più caratteristico nel repertorio dell’artista oceanico, senza nulla togliere però anche alle slide-guitar. Quest’oggi quindi si propone in una nuova veste, perché nel 2008 era solito andare in tour accompagnato da un batterista, due anni fa con gli Izintaba ed ora da solo, pronto a mostrarsi in tutta la sua essenza. Non a caso l’apertura della sua esibizione è affidata a Lioness Eye, con una lunga intro e diversi interludi di didgeridoo, tratta dal nuovo e settimo album Spirit Bird, un capolavoro. Saranno molti i pezzi estratti da quest’ultimo lavoro, evidentemente strutturati per essere proposti anche in solitaria, formula che di certo non spaventa il tuttofare australiano, amatissimo dal pubblico romano che, come un cuore pulsante, salta e balla seguendo le ritmiche tribali di Xavier. La scaletta comprende anche alcuni “classici” come Fortune Teller, Messages e Let Me Be, conosciute e cantate dalla maggior parte dei presenti.
Sebbene si tratti di un artista di nicchia nel nostro paese, Xavier Rudd ormai ha un cospicuo seguito di affezionati, che una volta scopertolo non perdono occasione di tornare ad ascoltarlo, anche perché chi non lo conosce o non lo apprezza si perde decisamente qualcosa di bello nella propria esistenza. In alcuni momenti sembra che le sue sonorità provengano da un’altra dimensione, come se sul palco ci fosse un alieno proveniente da una galassia lontana, a pensarci bene però i veri alieni siamo noi, perché Rudd sprigiona positività in un mondo di tensioni, attingendo dalla forza degli elementi della natura in tutta la loro primordiale essenza, Xavier Rudd è il suono della natura.
(Nella foto: Xavier Rudd e Nicholas Matteucci)
Articolo del
28/07/2012 -
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