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Rieccoci qua, dopo poco più di sei mesi dalla sua ultima apparizione a Roma, in una cornice sicuramente più adatta per il menestrello di Camden in versione solista… Peter Doherty torna nella capitale per un doppio show acustico all’XS che si presta maggiormente al contesto, con la sua atmosfera più calda ed intima rispetto a quella più vasta e dispersiva dell’Atlantico (dove Doherty suonò lo scorso febbraio).
La cronaca di questo doppio appuntamento non può non includere le partecipazioni speciali di alcuni miei cari amici, che nella fattispecie sono stati un’emanazione dei miei occhi e della mia coscienza sia da reporter che da appassionato... So che un paio di loro sono già sopraggiunti alla venue, per comodità li appellerò con i soprannomi Tony e Rebel. Erano entrambi con me anche al Reading Festival del 2011, altri due elementi “intraprendenti” ed appassionati, in particolare di Mr Doherty, roba che mentre suonavano i Muse se ne sono andati dopo mezz'ora perché stava iniziando proprio Pete su un altro stage. De gustibus. Tony posta un video di lui che suona insieme a Pete nel camerino, ok, non stanno perdendo tempo, poco dopo mi chiama anche Rebel dicendomi che la situazione è tranquilla e che lui sta un po’ alticcio, ma bene. Le condizioni di Doherty sono sempre una variabile impazzita, nel bene e nel male, ma in questo caso procede tutto per il verso giusto. Con me c’è anche Renata, che tra tutte le persone che conosco, è senza dubbio quella che vive la musica di Peter Doherty nella maniera più intensa, per lui ha fatto viaggi, concerti su concerti, l’ha conosciuto, si sono scritti e non solo. Insomma non potevo scegliere gruppo migliore, quando arrivo vedo Rebel su di giri, il motivo è presto detto, ha da poco suonato insieme a Pete nel camerino e poi chissà che altro è successo... Dopo una godibile apertura dei Deadbeats (gli stessi che aprirono anche all’Atlantico, stavolta però in acustico ed in formazione ridotta) intorno alle 23:30 è tempo per gli eroi... parafrasando il pezzo di apertura, appunto Time For Heroes, senza nemmeno esagerare con gli epiteti perché, a giudicare dall’accoglienza e dall’entusiasmo generale, Peter Doherty è davvero un eroe, a modo suo, ma lo è. Alla fine della fiera lo spettacolo è lo stesso di febbraio, ci sono ancora le ballerine e Pete si alterna tra brani del repertorio solista (cantatissima Last Of The English Roses) ed estratti vari dai repertori Libertines e Babyshambles. L’unica vera novità è rappresentata dalla presenza di una ragazza al piano che, sebbene Pete (nonostante tutto) tenga benissimo il palco, contribuisce ad una resa ancora più coinvolgente ed ammaliante dei brani, in particolar modo per For Lovers. Tra i momenti più gloriosi della prima serata c’è la soddisfazione del fan che ha regalato a Pete una bandiera della Roma, che viene indossata a mo’ di mantello, ma personalmente sono più contento per la dedica che Doherty fa al mio amico Rebel in occasione del primo bis Don’t Look Back Into The Sun, cui esegue la cover di Twist & Shout.
Al termine del concerto il backstage è affollato, Pete è stralunato e se ne va in giro in canotta, nonostante non faccia proprio caldissimo. Nel camerino siamo una quindicina di persone, in mezzo ad una cappa di fumo, la situazione sembra propizia per farci scappare qualche momento memorabile e Rebel si presenta “armato” di chitarra con l’obiettivo di duettare ancora con il suo idolo. Purtroppo la magia viene interrotta da una sgraditissima domanda su Kate Moss fatta da uno dei presenti, che causa il repentino cambio di umore di Peter che, si alza e se ne va nel tour-bus. Fine dei giochi, lascio Rebel e Tony a chiacchierare con le ballerine una delle quali mi dice che assomiglio a Jack White (io l’ho preso per un complimento, poi non so)...
La sera successiva parlo con Renata della giornata precedente. Per quanto il suo amore per Peter sia inattaccabile, non mi nasconde la delusione di averlo trovato in uno stato abbastanza decadente, ma alla fine non possiamo dirci insoddisfatti del concerto in sè, durato un’ora e mezza. Tuttavia non bisogna mai abituarsi ai comportamenti di Pete e ne avremo la conferma più tardi... All’arrivo all’XS incontro nuovamente Rebel, è raggiante più che mai e ne ha tutti i motivi, infatti mi racconta che il “corteggiamento” alle ballerine è andato... diciamo “a buon fine” ma la nottata non si era conclusa lì: infatti nel cuore della notte era arrivata anche una telefonata dello stesso Pete ad una delle ballerine, così le due ragazze ed i miei due amici l’avevano raggiunto al tour bus intorno alle 4. Rebel mi ha descritto un panorama di siringhe, cucchiaini e quant’altro non potesse lasciar adito ad interpretazioni diverse da quelle più facilmente ipotizzabili. Parlandone con Renata affermo “ma allora ha ricominciato...” e lei con un velo di disappunto misto alla poca sorpresa mi risponde “non credo abbia mai smesso...” anche se in effetti così era sembrato in passato e così personalmente speravo.
La variabile rappresentata dalla componente “umorale” di Pete si manifesta in termini di tempistiche nella seconda serata, l’inizio avviene intorno alle 22 e 45, la scaletta varia sensibilmente, ma termina molto prima, ovvero dopo un’ora scarsa di concerto... con Fuck Forever e senza alcun bis. Nessuno stop nel backstage, il cantante si rifugia subito nel tour-bus, che viene presto circondato da tanti fan, alcuni dei quali premiati con una foto o un autografo. Pete è sorridente, non si nega, ma non si spiega una così netta differenza di approccio alle esibizioni, la prima lunga ma dai ritmi più blandi, la seconda decisamente più breve tuttavia più intensa.
In definitiva posso dire ed è abbastanza evidente che Pete Doherty non sia particolarmente bravo a cantare o (tecnicamente parlando) a suonare - e non è neppure bello. Il suo punto di forza è l’essere vero ed autentico come pochi al giorno d’oggi, sapendosi rendere genuinamente unico, emozionante ed affascinante, facendo divenire “parte dello spettacolo” anche le sue pecche. La sua travagliata storia di dipendenza da alcool e droghe, gli amori illustri e le follie sul palco, non hanno potuto che ricamare attorno al cantautore inglese la veste dell’artista maledetto, perso nel suo vortice di autodistruzione ed amore del suo pubblico, un pubblico che non ha vissuto nessuno di quei miti come Jim Morrison (tanto per dirne uno) e che oggi accoglie a braccia aperte Pete Doherty, con lo spirito di chi un giorno dirà a figli e nipoti: “da giovane l’ho visto!”
Articolo del
21/09/2012 -
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