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Un nome nuovo si affaccia sulla scena dell’indie-folk e dell’electro-pop inglese. E’ quello di Jo Hamilton, artista di grande talento nata in Scozia ma che risiede da tempo a Birmingham, in Inghilterra. Dopo una vita trascorsa in viaggio, seguendo gli spostamenti della sua famiglia, ora in Turchia, ora in Tailandia, nello Sri Lanka e in Cambogia, Jo Hamilton ha provato a trasferire nelle sue composizioni musicali tutti le suggestioni derivanti da queste importanti esperienze ed ha messo insieme un folk-rock che rimane di stampo britannico, ma che contiene echi di musiche orientali e di ritmi africani. Il successo diGown, il suo primo e fin qui unico album solista, ha decretato la fortuna di questa formula che l’avvicina da una parte all’approccio melodico di K.d. lang, dall’altra allo sperimentalismo di Bjork e ai beat elettronici (decisamente più leggeri) di una Goldfrapp.
Inizialmente le tanti componenti che coesistono nella sua impostazione musicale, lasciano un po’ sconcertati: a brani carichi di atmosfera si sovrappongono infatti arrangiamenti un po’ banali, orientati verso una rilettura del pop in chiave elettronica, all’interno dei quali Jo Hamilton mette in mostra la sua bella voce, che denota una chiara valenza lirica. L’abbiamo apprezzata di più quando ha eseguito canzoni come Deeper o la bellissima There It Is avvalendosi del suo “airpiano”, uno strumento vero (al contrario della ben nota “air guitar”), inventato da Omer Yosha. Sonorità assolutamente ancestrali si diffondevano in sala grazie a questo nuovo strumento, non tattile, collegato ad un computer, che viene modulato attraverso un corretto movimento delle mani nello spazio. Note magiche, che sembrano provenire da una dimensione oscura, forse quella dell’inconscio, che vengono convogliate al pubblico dal fascino antico e dalla grazia indiscutibile della figura di Jo Hamilton, avvolta in un vestito lungo nero, di stampo ottocentesco, da cui deriva per l’appunto Gown, come titolo dell’album. Il canto di Jo Hamilton sa essere gentile e romantico ma quando poi attiva i suoi portentosi crescendo rivela una dimensione lirica, che aggiunge elementi gotici alla sua performance. Una musica in parte adatta a diventare colonna sonora di momenti di meditazione e di lezioni di yoga, ma che non nasconde un lato decisamente più moderno, a metà strada fra ricerca sperimentale e soluzioni di puro raffinato intrattenimento.
Forse Jo Hamilton deve soltanto trovare la strada, perché il talento non le manca di certo, sia sul piano compositivo che sotto l’aspetto vocale, ed inoltre riesce ad incantare il pubblico grazie ad una innata timidezza che aggiunge candore ai suoi dialoghi appena accennati come quello in cui introduce Paradise, scritta in Nuova Zelanda e introdotta dal canto di alcuni uccelli locali, o come quando presenta la sua band e ringrazia tutti i presenti in sala al momento dell’esecuzione di Think Of Me, uno degli ultimi brani eseguiti prima della fine della serata.
Articolo del
13/10/2012 -
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