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Sono tre anni che non m’affaccio a Stazione Birra e, a un primo sguardo, non sembra cambiato nulla. Solito labirintico giro di stradine prima di arrivarci, penetrante umidità esterna, parcheggio gratis, un numero non esagerato di presenti, tavoli tutti pieni e Stick Men Trio.
Prima della funambolica sezione ritmica dei King Crimson sul palco si avvicendano Mario Romano, impegnato in quattro pezzi solisti con chitarra acustica su cui sfoggia un più che buono tapping in stile Kaki King/Stanley Jordan, e The Random Clockwork che cambiano totalmente registro, incentrato su un sound elettronico/industriale di cui sinceramente faremmo volentieri a meno.
Verso le 22.50 si spengono un po’ di neon, i camerieri portano il conto e sul palco arriva l’uomo del basso, totalmente in nero, sempre magro, glabro e occhialuto, lo seguono Pat Mastellotto e Markus Reuter. Si attacca veloci e potenti, pescano a piene mani dal loro passato e da quello dei Re Cremisi. Dire che sono delle macchine è poco: questi metronomi a briglie sciolte si guardano, fanno cenni d’intesa e riprendono da dove smettono con una semplicità e scioltezza che li rende quasi antipatici. Fra i pezzi spuntano Silvia, Soup i cui incastri ritmici imprendibili si moltiplicano, i cambi di tempo e le diavolerie elettroniche sono ad opera di Mastellotto che neanche due manette di titanio potrebbero fermare. Lui sta al centro, sornione se la ride facendo da perno alle due asce che si affrontano in una sfida amichevole che non decreterà un vero vincitore. Il live è più violento e psichedelico di quello a cui abbiamo assistito l’ultima volta, quasi ostico per molte facce attonite e impreparate a fronteggiare tanta violenza sonica (Donna nuda che sale le scale). Ci sono parti anche molto improvvisate come Open Part II, l’uso dell’arco da violino ricorda la sezione centrale di Dazed And Confused. Appaiono Vrooom Vrooom e anche Breathless del primo disco solista di Fripp. Tony è un perfetto gentlemen, prova a presentare tutto in italiano che mischia allo spagnolo quando non ce la fa e solo infine torna alla sua lingua madre. Quando uno come Levin ci prova lo fa fino in fondo decidendo di cantare in italiano Spiraglio dal cielo, tratto dall’ultimo disco Deep. Slow Glide lascia il posto all’improvvisazione mentre la successiva Supercollider si fa da parte per una bella rivisitazione dell’Uccello di fuoco di Stravinskij. Chiude in maniera magistrale l’austera Red, spettacolare take dei King Crimson scritta nel vecchio secolo e capace di dar lezione a tutti gli pseudo-musicisti in circolazione, siano essi post-rock, math, indie-progressive e chi più ne ha...
Lui alla fine ringrazia sentitamente e sale scattante verso i camerini, noi lo seguiamo come mastini infernali per strappargli qualche parola su questa serata.
Articolo del
26/11/2012 -
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