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A distanza di un anno dalla sua precedente data, il Circolo Degli Artisti ospita nuovamente Jon Spencer. È un mercoledì freddissimo a Roma, non ci sono stati eventi imperdibili nella capitale in quest’inizio di 2013, quindi sfruttiamo la ghiotta occasione. Alle 22.45 fra il vociare del pubblico, ammassato sotto il palco e ben al riparo dalle temperature polari, sale sul palco uno degli uomini che in qualche modo ha cambiato alcuni dei tratti del blues. Solita formazione a tre, lui alla nostra destra appare invecchiato molto bene. Non usa parole per annunciare l’inizio dello show ma solo una schitarrata terrificante per farci capire che andazzo prenderà l’intero live.
Cosa succede durante la sua ora e mezza di show? Tutto se non siete mai stati a un suo concerto e niente nel caso lo abbiate già visto. È ai primi che mi rivolgo per fissare alcuni punti strutturali: 1. Jon Spencer conosce così dettagliatamente tutto ciò che riguarda il blues e rock(abilly) and roll, anche quello di serie B, che potrebbe andare avanti per ore senza sbagliare un colpo. Immaginate una specie di Tarantino della musica che mischia i suoi brani presi dall’intero catalogo e li sminuzza frullandoli con un minipimer a sei corde. Il risultato, va da sé, è una vittoria schiacciante la cui formula magica funziona con l’aggiunta di una sezione ritmica, guidata dal batterista che come lavoro potrebbe tranquillamente guidare un trattore agricolo e del secondo chitarrista senza cui Jon non potrebbe permettersi tutte le sue evoluzioni ellittiche. 2. Jon dichiara: “Ladies And Gentlemen The Blues Explosion” così tante volte che sembra una progressione impazzita di Fibonacci, alla fine ti viene anche da pensare che soffra di Alzheimer. 3: Il chitarrista conosce tutti, dico tutti, i trucchetti che un animale da palcoscenico deve esibire con spregiudicata sfrontatezza. Nel suo genere è imbattibile: stoppa e riparte velocissimo, sculetta, flagella la chitarra con i riff più usurati e vintage, quindi cool, e lo fa così bene che anche le cose più scontate sembrano guidate da una mano divina che le rende geniali.
Unica nota stonata, perdonate la banalità, è il volume assordante così fastidioso e inutile da costringere molti, sin dalle prime note, a lasciare la sala preferendo la partita e una birra in giardino. Alcuni non mandano giù la scelta, al di la dei soldi spesi, e inveiscono a male parole gesticolando come schizofrenici in direzione del fonico che, ipotizziamo, è stato colto da una temporanea sordità o è protetto da cuffie salva udito. Questo particolare non da poco inficia il risultato di uno show intenso e potente che con la giusta acustica avrebbe potuto essere perfetto. Forse sto solo invecchiando e chi come me non ha più il fisico, dovrebbe rimanere a casa a guardare Sanremo invece di lamentare volumi esagerati. Il rock deve scardinare tutto non è vero? Ma non è altrettanto corretto dire che si dovrebbe sentire anche bene? A voi l’ardua sentenza.
Articolo del
17/02/2013 -
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