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Sinceramente non saprei da dove iniziare e neanche come finire. Partirò dalla location: Roma, Init club, giovedì sera, in cartellone sono previsti gli Anotherule e i Radio Moscow. Gli Anotherule sono italiani, suonano qualcosa molto vicino ai Kyuss, uno stoner piacevole per i primi venti minuti, quando cantano invece il livello s’abbassa notevolmente. Verso la fine della loro esibizione si può tranquillamente affermare che sono più ultimi Q.O.T.S.A. oriented, con passaggi più scontati e prevedibili. Abbiamo il tempo di ordinare un vodka-tonic e ci siamo: al centro appare Lonnie Blanton alle pelli, di cui non vedremo la faccia per l’intera serata, che usa una batteria spartana con un ride scassato. A sinistra Billy Ellsworth protetto da una montagna di amplificatori minacciosi (per noi) alle sue spalle. Alla sua destra si pianta l’uomo, cresciuto a pentatoniche e felicemente intrappolato in quegli anni che vanno dai ‘40 ai ‘70.
I Radio Moscow sono una macchina infernale che ha il diavolo nel motore, il cui combustibile è il blues, unica fede di Parker che alimenta attraverso la chitarra, Hendrix è il suo verbo espresso attraverso un flusso magmatico di wah-wah. Per tutto il concerto Griggs e soci mettono a fuoco l’Init, fondendo letteralmente una spia. Griggs, fra un assolo e l’altro, sistema continuamente la sua amplificazione chiedendo al fonico un riequilibrio dei settaggi. Ciò non inficia assolutamente la riuscita dello show, per fortuna l’Init ha un’acustica superiore alla media dei suoi competitor e se, per una volta, sono i musicisti a soffrire di qualche problema di assestamento non è una dramma, noi siamo giù a godere come ricci in calore. I tre pescano a piene mani dal presente e dal passato: a breve ci ritroviamo di fronte all’attesissima 250 Miles, e neanche il tempo di metabolizzarne il riff che arriva l’incendiaria Luckydutch. Non mancano i loro classici, il rifferama zeppeliniano raggiunge il picco nelle potenti Brain Cycles e Deep Blue Sea, quest’ultima uno degli highlight dello show, un blues in 4/4 simil Red House in cui Parker si erge a titano assoluto della sei corde. Hanno un sound mostruoso, il giusto groove, una potenza tipica del power trio hard rock-blues (Blue Cheer/Cream per intendersi) e in quanto a tecnica chitarristica Parker potrebbe suonare la sua ascia elettrica mentre lo sottopongono a waterboarding.
È il blues che comanda, osannato e idolatrato in tutte le forme. La sezione ritmica vive in funzione di questo pirotecnico chitarrista capace di entrarti nelle carni issandoti sempre più in alto con ogni nota distorta e ribattuta. L’uso del vibrato, che tanto piaceva a Jimi, è una sensazione paradisiaca per le orecchie, niente ti può far del male perchè lo spirito del blues è con te. C’è posto anche per un passaggio acustico con tanto di bottleneck nel blues del delta Black Boot. Non mancano Little Eyes e No Jane, spettacolare nel suo cambio di tempo Non mancano i bis, almeno altri venti minuti di torrido hard blues che si conclude con applausi spella mani e la danza dei presenti. Li avevamo già visti qui, un anno fa più o meno, ma stasera i Radio Moscow sono stati di un livello superiore, mostrando eleganza e cambi di passo che solo i fuoriclasse possono permettersi. E’ un giovedì freddo a Roma, ma non per noi. Grazie ragazzi, ”we don’t need nobody but you”.
Articolo del
03/03/2013 -
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