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Appena entrati sembrava di stare ad un’esposizione di amplificatori, poi si è rivelato un attentato dinamitardo ai timpani. Questa è la prima di molte reinterpretazioni del concerto dei My Bloody Valentine all’Orion di Ciampino. Una delle tante riletture metaforiche, che possono aiutare chi non c’era a farsi un’idea, con la convinzione che alla fine tutto rischierà di sembrare esagerato, ma non è così. Inizio a pensare che io stesso, se mi raccontassero quello che ho udito senza esserci stato, non darei troppo credito a quelli che potrebbero essere i paragoni ed i raffronti con il livello di volume e la mole sonora del sound, anzi, del rumore che la band di Kevin Shields e Bilinda Butcher ha generato sul palco. Eppure le premesse c’erano, non possiamo dire di non essere stati avvertiti, non mi era mai capitato di vedere così tanta gente comprare tappi per le orecchie, ma noi no… noi siamo quelli che “I tappi li metti te… noi andiamo in prima fila spavaldi e senza tappi…” e poi eccoci dopo a bramare una bustina di Oki come nemmeno i tossici in crisi di astinenza in cerca di una dose.
I MBV si presentano sul palco in cinque, soltanto Kevin Shields dispone di sei amplificatori e di due testate per ciascuno di essi, il tutto assortito tra Marshall, Vox e Hiwatt, chiaramente ci siamo posizionati proprio là davanti a quel muro, come a voler provare una nuova frontiera del sadomasochismo. Non ha troppo senso fare un’analisi pezzo per pezzo, il set, durato all’incirca un’ora e mezza, ha riservato una buona selezione tra singoli noti ai più (per quanto anche l’orecchiabilità dei singoli sia alquanto relativa) dai loro tre album, più una manciata di chicche tratte da vari EP, ognuno dei brani preceduto da un cambio chitarra dell’esigentissimo Kevin “Apri Tutto” Shields, che in più di un’occasione (ne ho contate almeno quattro) ha stoppato il pezzo appena partito perché insoddisfatto di qualcosa che poi andava a farfugliare al tecnico o al fonico. Il pubblico, composto innanzitutto da una quantità inspiegabilmente elevata di belle ragazze e tipi alternativi che facevano sfoggio di magliette di band sconosciute, è stato molto ordinato ed attento, salvo rare eccezioni per i pezzi più movimentati, durante i quali qualcuno ha pogato. C’è scappato anche in qualche occasione il commento del tipico tizio che stava lì perché gli avevano detto che quello dei My Bloody Valentine era senza dubbio un concerto che faceva fico andarsi a vedere, si riconoscevano perché erano quelli che finiti i pezzi gridavano “Voce!”, evidentemente all’oscuro del fatto che, per quanto l’acustica dell’Orion non sia delle migliori (in particolar modo per le voci), le parti cantate dei pezzi della band irlandese si sentono e non si sentono anche nelle versioni in studio. Non è certo la voce del resto a sancire l’importanza di questo gruppo, al quale l’aggettivo “seminale” non potrebbe calzare meglio.
Gli ascoltatori più esperti non avranno potuto non notare quanto tutto questo rumore abbia ispirato generazioni di gruppi che, dalla seconda metà degli anni ‘90 ad oggi, hanno poi intrapreso le vie musicali più disparate, pur condividendo questo minimo comun denominatore sonoro. Pur essendo grezzissimi, come quelle rocce di cui solo un mineràlogo conosce il valore, pressoché privi di tecnica, ai limiti dell’insensatezza musicale e dalla discutibile genialità, ma così dannatamente essenziali. A saperle cogliere anche i MBV lasciano intuire a sprazzi alcune delle loro influenze, tra le quali figurano sicuramente band come The Cure e The Smiths, dai quali oltre ad alcune sonorità hanno tratto anche l’atteggiamento disagiato, estraniato e malinconico. Il top della performance è stato sul finale, quando, all’interno del brano You Made Me Realize, la band ha inserito un intermezzo di almeno cinque minuti di assoluto rumore, crescente (e non è che fosse partito basso già da prima) divenuto presto assordante (ma sul serio) al punto che sembrava di stare dentro al motore di un aeroplano. Tanto che la maggior parte delle persone tentavano invano di tapparsi le orecchie per limitare i danni, ma noi sadomasochisti musicali dell’ultima ora no, noi ce la ridevamo di gusto e li prendevamo pure in giro, noi che poi per uscire dall’Orion siamo stati colti da labirintite e qualsiasi cosa ci dicessero la prima risposta era sempre “Eh?” ma sempre fieri ed orgogliosi di non aver comprato i tappi. “Tanto rumore per nulla”? No, non è sicuramente la storia dei My Bloody Valentine.
Articolo del
01/06/2013 -
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