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Le vibrazioni (non la band, per l’amor di Dio), quelle buone, si iniziano a sentire già fuori dal locale... In realtà è tutto merito dei chitarristi che si stanno esibendo sul palchetto allestito all’aperto, ma è bello dare al tutto un’aria di misticismo, perché la passione che ha mosso e continua a muovere il Mojo Station Blues Festival (giunto alla nona edizione) è davvero grande e la trionfale serata di apertura non è che la prova. Nel palchetto all’aperto, mentre i più sorseggiano un drink in attesa delle portate principali, c’è Spookyman, chitarra slide e stile Delta.
Si attende il via libera per entrare e quando ormai tutto è pronto viene annunciato il primo grande ospite della kermesse, Adriano Viterbini, che l’anno scorso l’entourage di Mojo aveva già portato ad esibirsi all’I.B.C. (International Blues Challenge) di Memphis in “formato BSBE”, assieme al batterista Cesare Petulicchio. Effettivamente è mia opinione da tempo che, se esistesse una specie di “Olimpiade Musicale” da qualche parte nel mondo, Adriano Viterbini sarebbe sicuramente tra i papabili per fare da “portabandiera”, evidentemente anche quelli di Mojo la pensano così.
Dopo un’amorevole presentazione, Adriano si siede al centro del palco ed ha ”illumina” l’Init con una selezione di brani tratti dal suo disco di esordio in versione solista, Goldfoil. La “luce”, vera ed accecante, però non è soltanto quella metaforica, emanata dal suo talento cristallino trasposto in una chiave “sporca” prettamente delta-blues, ma anche quella vera e propria riflessa dalla sua chitarra specchiata. Dalla solenne Immaculate Conception alla citazionistica No Name Blues, passando per l’ipnotica New Revolution Of The Innocents, il repertorio di Adriano è sempre una piacevole consuetudine per i frequentatori abituali dei suoi concerti ed un’ammaliante scoperta per i neofiti.
La scaletta però dice che Adriano Viterbini non è l’headliner della serata, il che crea non poca curiosità al termine della sua esibizione. Dopo il chitarrista originario dei Castelli Romani infatti ecco arrivare direttamente da Livorno i Tres, che di lì a poco si riveleranno una scoperta folgorante. Questo power-blues-trio strumentale è una bomba atomica, forte di tre autentici rulli compressori che asfaltano (neanche troppo metaforicamente) i timpani del numeroso pubblico dell’Init. La forza di questa band è nello stile assolutamente personale di ogni singolo membro, che però va a sposarsi perfettamente con quello degli altri, creando una simbiosi musicale impareggiabile. I componenti di questa alchimia sono il bassista Simone Luti, che è una specie di Tom Morello a quattro corde, il batterista Rolando Cappanera, che invece sembra Thor con due martelli anziché uno ed infine il chitarrista Roberto Luti, un autentico portento, che non ha nemmeno bisogno di cantare perché la chitarra che suona lo fa già al posto suo.
La durata media dei pezzi non è mai inferiore ai 5 minuti, la band gioca sui cambi di ritmo e sulle improvvisazioni del momento che, come mi raccontava dopo il concerto Rolando, dipendono per lunghezza ed intensità dall’umore di Roberto, che la sera del Mojo Station Blues Festival era evidentemente ispiratissimo. Il gioco di sguardi gioca un ruolo fondamentale tra Rolando e Roberto, specialmente in quei momenti di “stop & go” in cui il pezzo sembra concluso ed invece riparte con una forza ancora più travolgente. Sebbene la chimica tra batteria e chitarra sia fondamentale, è però impossibile non accorgersi di Simone al basso. Il fratello di Roberto è uno che con due note da già il Groove al pezzo e che, quando gli altri cambiano marcia per accelerare, subentra nel pezzo come il Nos nel motore di un bolide lanciato sulla Route 66. Il parco effetti a disposizione di Simone Luti gli conferisce un suono estremamente particolare, moderno, ma non stonato con il mood blues classico che contraddistingue la band e che in alcuni frangenti ricorda un sound alla ZZ Top. Le strutture dei pezzi e soprattutto la massiccia verve della sezione ritmica dei Tres, fanno pensare anche ad influenze hard rock, in particolare il brano Pocket Rocket ha degli spunti che ricordano gli Ac/Dc (nello specifico Safe In New York City).
L’apoteosi della serata è avvenuta quando Adriano Viterbini si è unito per un paio di brani ai Tres. Ero molto curioso di vedere come si sarebbero comportati lui e Roberto sullo stesso palco e non sapevo se sperare che si innescasse un meccanismo alla “due galli nel pollaio” con conseguente sfida all’ultimo assolo. Dopo essersi reciprocamente studiati alla fine il clima non è stato competitivo, anzi, molto collaborativo, alternandosi entrambi tra ritmica e soli e mettendo il punto esclamativo su una serata memorabile per gli appassionati di blues romani e non solo. La fotografia di tutto questo è nell’espressione di estrema soddisfazione stampata sul viso di uno degli organizzatori del Mojo, che si è goduto la partecipazione di Adriano Viterbini insieme ai Tres direttamente dal fondo del palco, potendo ammirare non solo lo spettacolo che vi era sopra, ma anche sotto, con una folla entusiasta e nutrita, una rarità ormai per chi organizza eventi di qualità di questo genere.
Articolo del
05/06/2013 -
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