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Grande affluenza di pubblico per il ritorno a Roma delle CocoRosie, che inaugurano questa edizione del Festival di Villa Ada che - in occasione del suo ventesimo anniversario - si rinnova totalmente. Il progetto è stato ideato e curato da Michelangelo Pistoletto, uno dei più grandi esponenti italiani della Pop Art. Le strutture del villaggio sono diventate di certo più accoglienti: realizzate in legno, ispirate ai criteri della bioarchitettura, sono state disegnate in modo tale da lasciar trapelare la luce. La cornice naturale del laghetto circondato dai pini e dalla ricca vegetazione, rende questo posto un’oasi interna ad una città troppo spesso caotica e stressante.
Ma veniamo alla musica che, come al solito, è la vera protagonista di queste serate. Le CocoRosie hanno appena pubblicato Tales Of A Grass Widow, un album che sancisce la maturazione artistica delle sorelle Casady, dopo i segnali positivi che aveva fatto intravedere Grey Oceans, il disco del 2010. CocoRosie da tempo significa Bianca e Rose Casady, due sorelle americane di origine cherokee, tanto diverse fra loro quanto unite nel portare avanti paesaggi musicali stravaganti e bizzarri. Avevano cominciato come gruppo vocale di estrazione folk, si erano affacciate alla scena indie e adesso virano decisamente verso un’elettronica a tinte forti, condita però da melodie pop, da incursioni nella musica rap e da una ambientazione che deve molto al trip hop di qualche anno fa. Sul palco con loro si intravedono sia le strumentazioni elettroniche che un’arpa, che viene chiamata in causa al momento di performance davvero particolari, in cui evidenti richiami lirici si mescolano al free jazz o a vocalizzi tipici della cultura hip hop. La forma canzone, ora recitata, ora epica e magniloquente, viene manipolata con modalità sempre diverse che producono quell’effetto “clash” che è il motivo del successo delle nuove CocoRosie. Brani come Gravediggers, Fairy Paradise e Tearz For Animals condensano tutte quelle ispirazioni che le sorelle Casady traggono dalla società attuale e le trasformano in musica, attraverso una formula rischiosa, che le ha relegate nell’anonimato per tanti anni, ma che adesso si rivela vincente.
Sempre in viaggio fra Buenos Aires, Berlino, Parigi, Melbourne e New York le CocoRosie attingono sapientemente a generi musicali e culture diverse, talvolta improvvisano, talvolta vanno oltre i loro stessi limiti, ma piacciono proprio per questo. Bianca è sulla destra del palco e si alterna al pianoforte e all’arpa, mentre Rosie si sistema dall’altra parte e canta con quella sua voce in falsetto, talvolta deliziosa, in altre occasioni volutamente irritante. Rosie spesso ricorre ad un megafono, tanto per spiazzare, per fare da contrappunto alle tonalità liriche della sorella Bianca. Le due si incrociano raramente, solo nella parte finale dello show quando danno vita a performance quasi teatrali, dove l’epica si mescola con l’elettronica e la melodia con il rumore. La musica per le CocoRosie diventa un’opzione libera, si trasforma in uno spazio aperto dove poter sperimentare, dove poter rischiare e mettere a nudo anche le proprie convinzioni più estreme. Le Coco Rosie lo fanno attraverso i loro atteggiamenti, attraverso il linguaggio dei testi delle loro composizioni e non hanno paura delle conseguenze. Sono capaci di reinventare un vecchio jazz standard di Billie Holiday, per esempio, e di spruzzarci sopra dell’hip hop o una venatura operistica.
Le CocoRosie mescolano le loro rivendicazioni sociali e politiche con atmosfere da dance party, vengono giudicate noiose, fastidiose o irriverenti, ma intanto tengono la scena con grande personalità e trasformano l’eccesso, e talvolta anche il cattivo gusto, in una forma d’arte.
(La foto di Sierra Casady e il video sono di Giancarlo De Chirico)
Articolo del
17/06/2013 -
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