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La cosa che più colpisce di Howe Gelb non è tanto il suo indiscusso talento come musicista e songwriter ma quella sua capacità di trasformare ogni sua esibizione in una sorta di home concert dove tutti gli spettatori in realtà non sono altro che dei conoscenti o degli amici invitati per l’occasione.
Howe Gelb si presenta da solo senza i suoi Giant Giant Sand (nuova edizione degli storici Giant Sand, cult band originaria dell’Arizona) ed esegue in gran parte brani tratti da Dust Bowl, l’ultima sua pubblicazione come artista solista. Howe si alterna alla chitarra acustica e al piano e riesce subito a catturare il pubblico presente in sala grazie ad esecuzioni indubbiamente belle e di gran classe che spaziano all’interno di vari generi musicali, dall’indie folk al low-fi, dal jazz al blues fino al desert rock di qualche tempo fa. Si tratta di un one man show che si svolge in un’atmosfera intima e rilassata all’interno della quale emerge la poetica talvolta sofferta, ma in altre occasioni anche ironica e surreale, del musicista di Tucson, Arizona, instancabile conoscitore, viaggiatore e sperimentatore.
Howe, 57 anni compiuti, ha pubblicato fin qui oltre venti album con i Giant Sand, ha registrato altrettanti album solo, ha lavorato recentemente sia con un gruppo di musicisti danesi conosciuti attraverso la moglie che con una band spagnola guidata da uno straordinario chitarrista di flamenco; si è prestato a varie produzioni e collaborazioni, l’ultima delle quali lo ha visto a fianco di K.T. Tunstall, musicista ed interprete scozzese di chiara fama. Eppure conserva quell’aria dimessa di chi suona in pubblico per la prima volta, sempre sorridente e disponibile con tutti anche quando si trova alle prese - come questa sera - con un impianto tecnico che non funziona correttamente e che lo costringe a spostare l’asta del microfono posta al centro del palco in direzione del pianoforte per far sentire la sua voce. Oltre alla bellissima Lost Love, una slow ballad tratta da Dust Bowl, ma presente anche su Tucson dei Giant Giant Sand, Howe ci regala anche una emozionante versione di Chunk Of Coal, tratta da Blue Blurry Mountain dei Giant Sand e di Shiver, tratta da Chore Of Enchantment. Molto coinvolgente anche il blues basico, essenziale di Paradise Here Abouts, divertente la sua dedica agli esistenzialisti prima di Plane Of Existence e oltremodo intense le sue versioni di Forever And A Day, di We Don’t Play Tonight e di Not The End Of The World, un brano che viene introdotto da una domanda ironica quale: “Eravate tutti vivi il 21 dicembre dello scorso anno?” e che ruota intorno alle diverse reazioni e comportamenti umani di fronte alla nefasta profezia dei Maya.
Il concerto è di buon livello ma dura soltanto un’ora e viene chiuso da una splendida versione quasi a cappella di Hallelujah di Leonard Cohen, durante la quale Howe invita il pubblico a cantare in coro il ritornello della canzone. Giunto al termine della serata Howe Gelb lascia sul palco una borsa con dentro alcune copie del suo ultimo cd, invita quanti fossero interessati ad acquistarlo a ritirare il disco e a lasciare dieci euro nella borsa e poi scompare nel backstage dicendo “Don’t worry, I trust you...” Fenomenale, un vero signore, un gentiluomo di altri tempi, elegante nella sua semplicità, che si ferma a bere birra, a parlare con chi voleva conoscerlo di persona e magari farsi anche firmare un autografo.
(La foto di Howe Gelb è di Giancarlo De Chirico)
Articolo del
01/07/2013 -
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