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L'ultima volta che l'avevo visto dal vivo è stato nel lontanissimo 1980 durante il tour del suo album Viva l'Italia. Ricordo che, in quella occasione, non fui rimasto particolarmente colpito. Allo stesso tempo, in quegli anni ero sopraffatto da acuta sindrome di esterofilia rivolta alla ricerca dell’ultimo capolavoro dell’amico-del cognato-del tassinaro degli Alien Sex Fiend. Per questo motivo l’avevo (a torto) un po’ snobbato e, quindi, perso di vista. L’ho ritrovato, invece, l’11 luglio 2013 alla Cavea dell’Auditorium di Roma per pura curiosità acquistando un biglietto all’ultimo minuto confidando sul fatto che molti fossero andati a vedere Springsteen (di scena la stessa sera nel trappolone di Capannelle).
Ad accompagnarlo una band eccezionale a cui, oltre all’assetto caratteristico della rock band, si è aggiunta una sezione di fiati e la bravissima violinista e corista Elena Cirillo. Gli arrangiamenti sono addirittura migliorati con il passare degli anni, sempre ben dosati a seconda del brano. L’armonica a bocca, suonata dallo stesso De Gregori, ha offerto forti richiami alla tradizione folk americana. Si comincia con alcune canzoni tratti dal suo ultimo album Sulla strada. Si fa appena in tempo a rimanere a bocca aperta di fronte all’esecuzione di Guarda che non sono io (con Alessandro Arianti al piano ed Elena Cirillo al violino) che Francesco decide di aprire la sua gioielleria fatta di 40 anni di gemme preziose.
Ascoltare tanti capolavori uno dopo l’altro e vedere tre generazioni di persone cantare dalla prima all’ultima strofa, sono state le prove tangibili di come De Gregori abbia scritto alcune tra le pagine più belle delle musica popolare italiana. La voce è incredibilmente quella di sempre: calda, potente ed avvolgente per tutta la durata del concerto tanto che nessun brano in scaletta è stato cantato un’ottava sotto oppure ricorrendo ad altri artifizi propri di chi è a corto di fiato. Si alternano brani del calibro di Generale, Titanic, Il bandito ed il campione, Vai in Africa, Celestino, Guarda che non sono io ed una magnifica versione di Viva l’Italia molto applaudita dal pubblico. Vi sono parentesi rock come Compagni di viaggio e Bambini venite parvulos con il chitarrista Lucio Bardi che si diverte ad eseguire con la sua Fender dei riff alla Mark Knopfler. Poi le luci si fanno soffuse. Accompagnato solamente da contrabbasso e violino, De Gregori interpreta al pianoforte Sempre e per sempre, La storia siamo noi e, infine, Santa Lucia, brano, questo, che si conclude con l’incipit di Com’è profondo il mare, per un discreto e commosso omaggio all’amico Lucio Dalla che fa partire, ancora una volta, un caldissimo applauso da parte del pubblico.
Fin qui è un concerto strepitoso. L’unico mezzo passo falso è, a mio avviso, l’esecuzione di Futuro, ovvero una cover (con testo riarrangiato) di The Future di Leonard Cohen interpretata, per la verità, non all’altezza di quella del cantautore canadese. Ma il compito era proibitivo sin dall’origine. Si riparte, quindi, dai bis: Showtime, il nuovo singolo estratto da Sulla strada, per poi approdare a due canzoni richiestissime da parte del pubblico: La Donna Cannone (per piano, voce e violino) ci stende definitivamente mentre Rimmel, arrangiata con armonica a bocca, riporta alla mente Like A Rolling Stone di Bob Dylan. Il richiamo a Mr. Zimmerman durerà fino alla fine del concerto. Fino alla doppia esecuzione di Buonanotte Fiorellino intervallata dal ritornello "Everybody must get stoned".
Sono passate appena due ore e mi rendo conto che il concerto sarebbe potuto durarne altre quattro in quanto mancavano all’appello almeno un’altra tonnellata e mezza di capolavori. Il pubblico ti acclama come “Il Principe”. Per me, da oggi, sei un Re.
Articolo del
14/07/2013 -
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