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Il cielo plumbeo e le gocce di pioggia in questi giorni di luglio piacciono davvero a pochi, tanti infatti sono costretti a rimanere in città quando sognerebbero sole, spiagge e mare. Tuttavia il 10 luglio, in occasione della miglior kermesse di talenti e fenomeni “made in England”, all’Ippodromo delle Capannelle non poteva esserci cornice migliore di quel cielo così londinese. Arctic Monkeys, The Vaccines e Miles Kane; la nuova British Invasion punta su questi nomi. Nessuna prova di maturità da sostenere, questa gente in patria è già al top e si sa, chi è al top in Gran Bretagna lo è anche in Europa. Soltanto pochi giorni fa i Vaccines sono stati il gruppo di apertura dei Rolling Stones ad Hyde Park; Miles Kane e Arctic Monkeys invece hanno suonato al Glastonbury Festival, questi ultimi addirittura da headliner al Pyramid Stage, la consacrazione per Alex Turner e soci. Fanno tutti più o meno parte del caleidoscopico panorama musicale etichettato come “indie-rock”, genere musicale ed attitudine dilagante ed oramai quasi inflazionata, che significa tutto e niente, stile di vita per alcuni, vaso di Pandora per altri. L’Italia purtroppo, non per colpa di chi la musica la segue e la ascolta con vera passione, arriva sempre un po’dopo, come una succursale, ma adesso anche qui questi nomi iniziano a progredire dal contesto di nicchia per diventare un vero fenomeno di massa, nel bene e nel male.
Miles Kane
L’ordine delle esibizioni viene naturalmente determinato dal corrente livello di fama che quindi per cause di forza maggiore, o hype se preferite, relega in maniera mai così ingrata Miles Kane al ruolo di apripista della serata. Con buona pace di tutti e senza raccontarci troppe storie, tra tutti questi inglesi il vero leone è proprio Kane. Al netto di quella grandissima parte di pubblico composto da ragazze che sognano in una vita parallela di diventare Mrs Turner, il resto dell’audience è sostanzialmente coesa nell’ammirazione sia per i Monkeys che per i Vaccines. Kane è conosciuto per lo più da una sparuta minoranza del pubblico, che sa del suo passato nelle file dei Rascals, ma soprattutto delle frequenti collaborazioni con l’amico Alex Turner, prima tra tutte il progetto Last Shadow Puppets. Pochissimi di questi possono invece dirsi davvero “sul pezzo” riguardo alla carriera solista del ventisettenne nato di fronte a Liverpool, che vanta due album, Color Of The Trap (2009) ed il capolavoro Don’t Forget Who You Are (2012). La musica di Kane è metaforicamente associabile ad un galeone, battente (naturalmente) bandiera inglese, di cui ogni vela rappresenta un’influenza stilistica, una per decade, dagli anni 60 ai 90, nel segno della miglior tradizione brit-rock. Su queste vele soffia un vento, forte come l’ambizione e fresco come il talento, che lo porteranno sicuramente lontano. Come emerso anche nell’intervista prima del concerto, Miles Kane è uno a cui non piace fare il comprimario. Ciononostante, pur esibendosi per primo e davanti ad una folla ancora ridotta, l’ex leader dei Rascals ci mette il triplo dell’impegno per impressionare i presenti nella mezz’ora a lui concessa. Conquista il pubblico con una manciata di pezzi, lasciando il palco accompagnato da un tripudio di cori dopo il suo ultimo pezzo, Come Closer. Il suo saluto però è un arrivederci, perché lo ritroveremo in Italia per uno show (finalmente) da headliner il prossimo 2 novembre ai Magazzini Generali di Milano.
“You’re gonna find out that I’m the first of my kind”... A causa del poco tempo a disposizione non l’ha suonata, ma si rivelerà una profezia.
The Vaccines
Non ci vuole molto tempo perchè avvenga il cambio di backline sul palco, essendo queste state disposte una di fronte all’altra per rendere il tutto più rapido ed agevole. L’atmosfera inglese si scatena in tutta la sua essenza meteorologica in concomitanza con l’inizio dei Vaccines, accolti dalla pioggia e dai tanti fan che sembrano essersi moltiplicati come i gremlins.... I Vaccines non si fanno pregare, prendono il palco accolti da un enorme entusiasmo e nemmeno la pioggia scrosciante riesce a spegnere il fomento dei fan, che ora iniziano a riempire davvero la venue. A conti fatti la loro aggiunta come ulteriore special guest (avvenuta dopo l’annuncio della data, che inizialmente prevedeva solo Kane e Monkeys) si è rivelata una scelta azzeccata da parte degli organizzatori, nonché un vero “terno” (in tutti i sensi) al lotto per i fan di questo genere. Il loro è un rock semplice, diretto e catchy, con meno pretese e rimandi di quello di Kane, ma sicuramente efficace, infatti non c’è nessuno tra i presenti che non abbia sentito almeno una loro canzone in qualche dj-set indie-rock. Dai club all’Ippodromo il passo non è breve, ma il risultato è assicurato, con una risposta esaltante, soprattutto quando il frontman Justin Young punta il microfono sulla folla, che canta a gran voce le parole delle loro canzoni. Del resto se il loro successo è stato così rapido un motivo dovrà pur esserci e la risposta è presto detta. Dalla recente Ghost Town ai “classici” If You Wanna e Post Break-Up Sex, i loro pezzi fanno pogare, abbracciare e saltare anche i fan “imborghesiti” che occupano i seggiolini in tribuna. Su di loro il futuro pare essere meno leggibile, se da “fenomeno del momento” diventeranno un punto fermo dipenderà soltanto da loro e dallo spessore che saranno in grado di acquisire di qui in avanti, ma oggi sono senza dubbio uno dei gruppi più caldi in circolazione.
“I’m no teenage icon”. Ed invece sì, lo sono, starà a loro saper cavalcare l’onda e superare l’esame di maturità.
Arctic Monkeys
Ha magicamente smesso di piovere, il clima non si è rinfrescato neanche per sogno, tra sudore e pioggia per un motivo o un altro sono tutti fradici. Fradici ma felici, perché stanno per arrivare gli Arctic Monkeys, che in un certo senso sono quasi degli eroi musicali dell’ultima generazione musicale. Nati con il mito degli Strokes, Alex Turner e compagni sono stati più forti della crisi discografica sfruttando internet meglio di chiunque altro. A distanza di nemmeno dieci anni dal loro esordio, non solo hanno ormai surclassato i loro miti newyorkesi, che un tempo omaggiavano con le cover, ma sono ormai una delle più grosse realtà della musica inglese ed europea, pronti a conquistare anche l’America. I tecnici di palco scoprono la coreografia, abbastanza minimale a dire il vero (se consideriamo altre pacchianate vistesi quest’estate, Muse in primis), composta da una A ed una M giganti, fatte da led luminosi, ma si vede anche da queste cose che il sentimento comune ormai è quello di pensare in grande. Alla prova pratica però le scimmie artiche strappano solo la sufficienza. Il primo pezzo è il loro nuovo singolo Do I Wanna Know?, che anticipa AM il nuovo disco atteso per l’inizio di settembre. C’è grande entusiasmo generale, il pubblico canta, salta, fa i cori e poga. Tuttavia Alex Turner, ormai calato nel personaggio di rock’n’roll star anni 50 con i capelli alla Grease (in realtà scimmiottando il John Lennon dei primissimi tempi), ancora ne ha di strada da fare prima di essere il tipo di frontman che vorrebbe. Anche il resto della band è troppo statica e fredda, quasi come se il gruppo si chiamasse “Alex Turner & His Arctic Monkeys”, sempre per rimanere in tema anni 50. Gli altri Arctic sono sbiaditi ed anonimi ad eccezione del batterista Matt Helders, che non sarà un mostro di tecnica, ma con i suoi cori e la sua energia resta l’unico coi numeri ed il carisma per tenere la scena come si conviene su certi palchi. Alex ci prova ad essere un personaggio, assumendo un atteggiamento guascone ed esibendosi in mosse e balletti di vario genere, ma passa dall’essere buffo a goffo. Sebbene non abbia “le physique du role” del sex symbol o del bello e dannato, la maggior parte delle ragazze presenti lo desidera e lui lo sa, così gioca a fare il “piacione” con apprezzamenti velati o frasi ad effetto per introdurre i pezzi seguenti. La vincitrice è sicuramente quella che presenta R U Mine?, l’altro inedito che anticipa il nuovo album: “Girls, I’m yours... and you... Are You Mine?” gli piace vincere facile. Nel complesso lo spettacolo risulta divertente anche per questo, sebbene a tratti sia più che altro l’atteggiamento del cantante e chitarrista di Sheffield sia piacevolmente ridicolo. L’immagine simbolica del concerto però non si sviluppa sul palco, bensì tra le prime file del pubblico, quando una ragazza presa dallo spirito rock’n’roll chiede di fare crowdsurfing, ma quando prova a farsi sollevare (pur non essendo sovrappeso) cade miseramente, perché i baldi giovani intorno a lei non sanno dove mettere le mani, né come comportarsi... Un po’ come gli stessi Arctic Monkeys, che non sono bocciati, ma solo rimandati, dandogli comunque atto di aver acquisito col tempo molto spessore artistico. Questo è avvenuto principalmente in studio di registrazione con gli ultimi due album, caratterizzati da un Josh Homme che, avendone captato le potenzialità, li ha presi sotto la sua ala protettrice e (soprattutto) produttrice.
“I wanna rock’n’roll, brick by brick”. Tutto giusto, l’importante è non avere fretta e improvvisarsi qualcosa che ancora non si è.
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Articolo del
15/07/2013 -
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