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Il caldo torrido fin dalle prime ore del mattino non ha fermato i quasi sessantamila fan tornati a riempire lo Stadio Olimpico di Roma (rendendo anche questa tappa sold out, dopo quella di San Siro) per ammirare i fondatori dell’elettronica e del synth per antonomasia: i Depeche Mode. Il trio di Basildon era infatti assente dalle scene da ben quattro anni, ossia da quando aveva calcato i palchi del “Tour Of The Universe”, divenuto famoso anche per i problemi di salute che hanno afflitto Dave Gahan, costringendo la band a cancellare non poche tappe. Ma il 2013 si sta rivelando un anno fortunato per Gahan&co, che lo scorso marzo hanno dato alla luce un nuovo album di zecca, “Delta Machine”, di certo non privo di imperfezioni ma, come spesso accade, le canzoni che su disco apparivano flebili e insignificanti, dal vivo emergono prepotentemente, adattandosi con facilità al pathos generale e plasmandosi ai successi del passato. Ad aprire il concerto si presentano alle 19 in punto i Motel Connection guidati da Samuel dei Subsonica, che sfoderano un tripudio di dance ed elettronica, scaldando il pubblico del parterre e i pochi arrivati delle tribune (ancora semivuote) a suon di pezzi “clubbing” e discotecari. La loro è una “visita” veloce, però, perché è previsto un altro artista a fare da supporter: tale Matthew Dear, noto dj a stelle e strisce che, con fare vagamente dandy e sessanta minuti scarsi di techno ed elettropop (piuttosto ripetitivi, a dire la verità) lascia lo spettatore medio tra l’interdetto e l’incuriosito, non riuscendo del tutto nell’intento di distrarre il pubblico dagli sguardi insistenti all’orologio e dall’affaticamento causato della calura. Ma il sole ormai si è oscurato e la luna è alta nel cielo, pronta come un faro ad accogliere una delle band più attese di quest’estate.
Alle 21 e 15 circa, infatti, ecco arrivare Peter Gordeno e Christian Eigner (rispettivamente alle tastiere e alla batteria) seguiti da un gran boato e dal mitico trio di Basildon, che con Welcome To My World dà subito inizio al concerto non appena mette piede sul palco. Dave Gahan cattura immediatamente l’attenzione, dimostrandosi energico, vigoroso e carismatico sin da subito, mentre cammina a torso nudo coperto solo da un gilet lilla stracolmo di lustrini e dai suoi indimenticabili tatuaggi. Come di consueto la scaletta vede piazzati ad inizio concerto proprio i pezzi tratti dall’ultimo album (tra i quali Angel), intervallati dai grandi successi del passato, alcuni dei quali ripescati dopo anni per la gioia dei fan più sfegatati, come Walking In My Shoes e Precious (tratti rispettivamente da “Songs Of Faith And Devotion” e da “Playing The Angel”), quest’ultima accolta con grande entusiasmo e accompagnata dagli immancabili balletti di Gahan, mentre sullo sfondo scorrono immagini di numerosi cani (che siano proprio dei Depeche?) in buffissime espressioni.
Ma ecco arrivare il pezzo forte, quello che dà il via all’incantesimo capace di rendere Dave Gahan un’entità soprannaturale a prevalenza mefistofelica e Martin il principale intercessore tra lui e il pubblico: la magia si compie infatti proprio sulle note (suonate l’ultima volta nel 2001) di Black Celebration, tra luci rosso intenso e fumi verdi, che sembrano preannunciare un ingresso in un’altra dimensione (di certo non paradisiaca). Tra l’altro la sensazione che questo concerto si sarebbe rivelato un evento indimenticabile si fa realtà quando attaccano il riff di Policy Of Truth, cantata in coro da tutto lo stadio a cui spesso Gahan rivolge il microfono per ricaricarsi di energia, improvvisando nel frattempo balli sensualissimi. Prima di lasciare la scena a Martin, che peraltro interpreterà magistralmente una versione acustica al pianoforte di The Child Inside e una commovente Shake The Disease, Dave si scatena ancora nell’infuocata Should Be Higher (tratta sempre da “Delta Machine”) e nella straordinaria Barrel Of A Gun, riportata alla luce dopo anni di oblio e illuminata dalla chitarra dorata a forma di stella dello stesso Gore. L’abbraccio intimo e sentito rivolto da Martin al pubblico nella sua interpretazione viene prolungato dalla successiva Heaven, uno dei singoli del nuovo disco più trasmessi dalle radio e sinceramente apprezzato dai fan, che ne conoscono già il testo e seguono Gahan mentre si destreggia nel suo crooning sentimentale, avvolto in un gilet nero e oro mentre sullo sfondo scorrono le immagini del video diretto dal bravissimo Anton Corbijn.
Ma il tempo dedicato alle lacrime è finito e tutto lo Stadio si scatena di lì a poco nel death-disco di Soothe My Soul, nella claustrofobica A Pain That I’m Used To, introdotta da un travolgente remix e nei riff aggressivi di A Question Of Time(durante la quale Dave Gahan volteggia ininterrottamente) seguita da Secret To The End. Ormai l’adrenalina è alle stelle, Fletch incita il pubblico com’è solito fare e Martin rivolge sguardi complici a Dave…ecco che sulle prime note di Enjoy The Silence un boato pazzesco si alza fino al cielo e tutto lo Stadio canta all’unisono il brano dove forse è racchiusa la vera essenza del trio. L’incredibile feeling tra i DM e i loro fan si rafforza nuovamente nel riff iniziale dell’attesissima Personal Jesus che, assieme ai brani precedenti, rappresenta la vetta assoluta della serata. Sono ormai le 22 e 50 quando Dave intona Goodbye prima di abbandonare il palco per appena cinque minuti e lasciare nuovamente Martin L. Gore protagonista sul palco, con l’inaspettata Somebody ad aprire gli encore e la suggestiva Halo a chiudere l’ondata di estrema sensibilità che commuove (nuovamente) tutto il pubblico. Siamo ormai giunti alla fine e tutti sono pronti per saltare sulle note della spensierata Just Can’t Get Enough rendendo l’Olimpico una pista dancefloor, per poi ammirare uno dei pezzi più amati da Gahan nelle sue esibizioni live, la luciferina I Feel You, dove l’istrionico cantante dà sfogo a tutta la sua carica erotica correndo su e giù per il palco “squarciando” più volte il cielo di Roma con veri e propri urli demoniaci. Alle 23 e 20 il trio di Basildon intona l’ultimo pezzo previsto in scaletta, Never Let Me Down Again, mantenendo fino all’ultimo altissima la tensione emotiva e coinvolgendo il pubblico nel gran finale del concerto. Nonostante abbiano tutti superato il mezzo secolo, i Depeche Mode dimostrano di essere ancora nel pieno delle energie regalando alla Capitale uno dei migliori concerti in quasi trentatré anni di carriera (aiutati anche da un’acustica inaspettatamente più che buona) tra pezzi attuali e perle del passato, pronti più che mai per tornare sulle scene nel 2014 e sigillare nuovi patti idilliaci con i loro fedelissimi fan.
( La foto di Dave Gahan è di LUISA LUCIANI)
Articolo del
22/07/2013 -
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