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Quando a salire sul palco è un artista che porta il nome di David Byrne si ha la consapevolezza, se non la certezza, che si sta per assistere ad uno spettacolo in grado di mettere insieme classe e raffinatezza, ingredienti sempre più rari nel panorama musicale attuale. Versatile, sperimentale, quasi multiforme, Byrne ha regalato uno show sorprendentemente nuovo, seppure con il retrogusto inconfondibile della sua esperienza targata Talking Heads, un riferimento questo che non poteva di certo mancare.
Otto fiati, una batteria, una tastiera, un tandem di chitarre e voci, quello formato da David Byrne & Annie Clark, meglio conosciuta come St. Vincent, artista dalla vocalità straordinaria. I due musicisti presentano dal vivo brani tratti da Love This Giant, un album uscito esattamente un anno fa, un disco intrigante e per molti versi sorprendente e geniale. La decisione di avere sul palco una vera e propria orchestra, ha comportato la rinuncia ad un bassista; ma la sua assenza è stata poco avvertita grazie alla abilità di un batterista che ha assolto al meglio il suo compito.
Il live act inizia con Who, il primo singolo tratto dall’album, e il concerto riproduce quasi per intero quelle enigmatiche atmosfere pop, quel rock di avanguardia, che avevano caratterizzato il disco. Ma poi - con il passare dei minuti - confluiscono nello show brani come Burning Down The House, accompagnata dalle voci di tutti i musicisti, e This Must Be The Place, doverosamente dedicata al regista Paolo Sorrentino. La ricchezza del patrimonio esperienziale di Byrne viene ribadita da una stupenda versione di Road To Nowhere, che viene eseguita in chiusura del concerto e risulta spogliata, almeno in parte, della sua coralità iniziale; questo per offrire al pubblico una versione più sobria del brano, grazie al dittico vocale Byrne-Clark e al contributo della sezione fiati.
Nel corso della serata abbiamo ascoltato anche Strange Overtones, una composizione che era molto attesa dal pubblico che gremiva la Sala Santa Cecilia, e che è il frutto della collaborazione fra Byrne e Brian Eno, geniale produttore, ex Roxy Music, pioniere dell’elettronica. Non si può non ricordare infine l’aspetto puramente visivo delle performance di Byrne e di St Vincent. Mr Byrne possiede un modo quasi cinematografico di fare musica, di raccontarla, di scriverla, e di presentarla. Incarna perfettamente la figura antitetica al Television Man della sua nota canzone, con quel suo modo di essere intatto, pulito ed essenziale, quasi keatoniano. David Byrne sembra davvero non voler cedere il passo alla cialtroneria musicale o a scelte artistiche facili, piuttosto in voga nella cultura musicale, contemporanea e non.
Articolo del
17/09/2013 -
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