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La serata è introdotta da un intervento di Gaia Riposati che - nell’ambito della sezione Speech che accompagna questa edizione del Roma Jazz Festival - legge brani tratti da Regina di Fiori e di Perle, un libro scritto da Gabriella Ghermandi, edito da Donzelli. Il romanzo è ambientato in Etiopia, a Debre Zeit, sobborgo di Addis Abeba, nel 1980 e trova il suo nucleo narrativo nelle storie che un ex guerriero Arbegnà, diventato nonno, racconta alla sua nipotina. Si parla dell’occupazione degli “italians” e della rivolta: la bambina ascolta ogni dettaglio, ne resta affascinata e promette al nonno che - una volta diventata grande – andrà di persona in Italia a raccontare ogni cosa.
Subito dopo salgono sul palco gli Step Ahead, l’ensemble messo insieme da Mulatu Astatke, celebre artista e compositore etiope, che raccoglie lo spirito di testimonianza, l’anelito di verità di quel libro e ci offre tutta una serie di racconti musicali fluidi ed intriganti, che mescolano sapientemente jazz music e tradizione africana, funky grooves” ed improvvisazione, senza neanche disdegnare echi di latin sound.
La musica di Mulatu nasce con l’intento di superare confini, etichette e barriere di ogni tipo e le sue composizioni sono totalmente free e open minded. Unico intento donare energia, trasmettere emozioni, far viaggiare il pubblico con la mente all’interno di un substrato sonoro che sembra orientato a seguire le impronte del free jazz di Miles Davis, ma che denota di certo altre importanti componenti. Ci sono echi del jazz di Duke Ellington e di Billy Strayhorn, ci sono influenze folk tradizionali, le stesse che hanno fatto conoscere inizialmente l’opera di Mulatu attraverso la pubblicazione di Ethiopiques e tanti altri ingredienti ancora in una formula che si rivela indovinata e che viene comunemente definita “Ethio-jazz”.
Mulatu, vibrofono e percussioni, presenta dal vivo brani tratti da Sketches Of Ethiopia, il suo nuovo album ed è accompagnato dai sopra citati Step Ahead, una eccellente “tour band” formata da Byron Wallen, alla tromba, da James Arben, al sassofono, da Danny Keane, al violoncello, da Alexander Hawkins, al pianoforte, da Neil Charles, al contrabbasso, da Tom Skinner, alla batteria e da Richard Olatunde Baker, alle percussioni. Il titolo dell’album è chiaramente un tributo indiretto a Sketches Of Spain, il grande disco jazz uscito nel 1960 e firmato da Miles Davis e Gil Evans. Mulatu ha 70 anni compiuti ma dimostra sul palco di conservare l’entusiasmo di un adolescente e si compiace delle sue stesse creature musicali, che vanno dal funky frenetico di un brano come Assosa Derache che ci fa danzare sulle poltrone della Sala Sinopoli, a sonorità maggiormente tipiche della tradizione africana, come l’eccellente Gumuz, fino alla melodia quasi eterea di Motherland Abay, un’altra composizione solo strumentale che incanta i tanti spettatori presenti. Non mancano citazioni dal passato, e mi riferisco a brani come Yegelle Tezeta e Gubeleye, piccole perle incastonate nella colonna sonora di Broken Flowers, il film del 2005 diretto da Jim Jarmusch, grazie al quale il nome di Mulatu ha fatto breccia presso il grande pubblico.
Un concerto che mette insieme intrattenimento e sperimentazione, che fonde elementi diversi con sincerità e talento, che non insegue sofisticati percorsi, ma libera energia e “good vibes” come solo raramente accade.
Articolo del
25/10/2013 -
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