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Come l’assassino torna spesso sul luogo del delitto, Edoardo Bennato ritorna a Roma, sempre al The Place accompagnato dalla sua band e dal Quartetto Flegreo. Non conoscendo bene la nuova location del The Place (ora a Villa Borghese), io e i miei due fidi accompagnatori, arriviamo in anticipo e quindi in tempo per l’ultimo quarto d’ora di soundcheck, e già quel poco che abbiamo ascoltato ci ha dato l’impressione che sarebbe stata una bella serata. Subito dopo, essendo il locale ancora vuoto escludendo qualche fotografo, un paio di giornalisti, il personale che preparava i tavoli e i tecnici che terminavano le loro cose, Edo si è trattenuto in sala, ha salutato qualche amico e poi si è seduto per un paio di interviste; la cosa ci ha colpiti positivamente, evidentemente era rilassato e sembrava di ottimo umore. Alle 22,40 circa, ancora luci basse, prende posto sul palco il quartetto e parte con l’intro (Vivaldi) al termine del quale arriva Edo e si posiziona proprio davanti a noi, imbraccia la sua sei corde acustica, saluta e annuncia Dotti medici e sapienti. Con questo brano inizia la prima di quattro parti del concerto nella quale esegue brani della prima ora come Detto tra noi e In fila per tre, ai quali antepone delle brevi introduzioni (sappiamo bene quanto lui ami raccontare cose tra un brano e l’altro). Sempre accompagnato dal quartetto d’archi, la chiusura di questa prima parte è affidata a Cantautore.
Con gli appalusi del pubblico il quartetto lascia il palco, mentre Edo si avvicina il tamburello a pedale e, come da copione, racconta del suo esordio e dei primi faticosissimi anni, di quando la sua casa discografica lo mollò da un giorno all’altro perché non era commerciale o forse era troppo scomodo («mi dissero di pensare a laurearmi in architettura e di lasciar perdere»), del famoso festival di Civitanova Marche («dove c’era tutta l’intellighenzia di sinistra. Decisero che ero l’uomo giusto per rappresentare il disagio giovanile») che invece gli diede fama, e di quando si mise a suonare sotto i palazzi della Rai in segno di protesta nei confronti del business del mondo della musica, in versione one man band… Grande grinta del cantautore che esegue pezzi come Abbi Dubbi, Sono solo canzonette e Il Gatto e la Volpe con massiva partecipazione del pubblico. Inizia così la terza parte quando il resto della band sale a prendere posto sul palco (Gennaro Porcelli e Giuseppe Scarpato alle chitarre, Roberto Perrone alla batteria, Patrix Duenas al basso e Raffaele Lopez alla tastiera) mentre lui improvvisa una imitazione di Beppe Grillo ripetendo la solita frase pronunciata dal comico «devono andare tutti a casa» che apre al brano Al diavolo Il Grillo Parlante. Tra un pezzo blues alla Joe Sarnataro, e una dedica a Lou Reed («questa canzone sarebbe piaciuta anche a lui»), prosegue energico questo concerto dove Edoardo sfoggia molta verve, intrattiene con i suoi dialoghi e sembra davvero divertirsi con le sue canzoni. In questa parte c’è spazio per alcune canzoni del repertorio più rock e di protesta (spiccano Il Paese dei Balocchi e Vendo Bagnoli), ma anche per qualcosa di più scanzonato e più recente come Notte di mezza estate, singolo scritto con Alex Britti nel 2006.
Con l’ingresso del quartetto d’archi il palco diventa molto affollato e ci accingiamo ad assistere all’ultima parte evidentemente più potente con il mix band+archi. In questo spicchio di live torniamo ad alcuni pezzi del repertorio classico come L’Isola che non c’è e La Fata, ma si fa anche un balzo in avanti con La mia città, E’ lei e Chi non salta, tra i brani migliori degli ultimi album. Il finale è lasciato al Rock di Capitan Uncino con una esplosione di suoni e di energia sprigionata dalle chitarre e dal quartetto d’archi che diventa un vero quartetto rock. Sembra che sia finita così ma, naturalmente, c’è un doppio bis: Un giorno credi e In prigione, in prigione. Non c’è che dire, il nostro Edoardo ha ancora molta forza, il rock gli scorre nelle vene e la sua vena ironica non si è ancora prosciugata. Nonostante tutto lui è ancora li sul palco a raccontarsi e lo fa più che egregiamente. Con la sapiente regia di suo fratello Giorgio e la collaborazione di grandi musicisti, Edoardo riesce a rievocare le atmosfere ribelli e rockettare dei gloriosi album degli anni ’70. 27 canzoni in due ore secche senza interruzione, una serata memorabile, un concerto bellissimo, altro che feste di piazza… Un ringraziamento particolare va ad Antonio Dubois che ci ha messo in contatto con Massimo Tassi, manager di Edoardo, il quale ci ha permesso di incontrarlo a fine concerto per salutarlo con foto di rito e autografi.
(La foto di Edoardo Bennato sul palco e il video sono di Maria Grazia Umbro)
Articolo del
04/11/2013 -
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